La donna e la bambina. Il Vangelo ci accompagna con due storie di grande fede
Gesù, afferma il Papa, “si imbatte nelle nostre due situazioni più drammatiche, la morte e la malattia”
Una donna anziana e una bambina. Il Vangelo di Marco si sofferma, in questa domenica, su queste due figure che, in qualche modo, escono dall’anonimato della folla che circonda Gesù. Lo avevamo lasciato sulla barca mentre attraversava il lago di Tiberiade per raggiungere la riva opposta e scendere in terra di Galilea. Anche qui trova folla che si accalca attorno a lui; folla anonima, persone semplici, mendicanti, gente malata, toccata dalla sofferenza e dal dolore. Un po’ come le folle che quotidianamente troviamo lungo le nostre strade, nelle nostre città, e che, magari, facciamo di tutto per evitarle.
In questa folla anonima molti lo toccano, lo sfiorano; tutti gesti anonimi, meno uno, quello di una persona che ha una grande fede e una richiesta da fare, ma non trova il coraggio di farla. Ecco che sfiora il lembo polveroso del mantello di Gesù: è convinta che il solo contatto con la stoffa del mantello potrà guarirla da quelle perdite di sangue che l’affliggono da tanto tempo. Quel tocco non è casuale, nasconde una volontà precisa, una richiesta di aiuto. Gesù – “essendosi reso conto della forza che era uscita da lui” – coglie quella richiesta e si ferma. Marco nel suo Vangelo scrive: “egli guardava attorno per vedere colei che aveva fatto questo”. Per i discepoli era strano che, stretto da tanta folla, potesse rendersi conto di quella mano che aveva sfiorato il mantello. Gesù, invece, sa che si tratta di una mano di donna, che così voleva comunicare la sua richiesta di aiuto.
Trenta anni fa il gesto di quella donna diventa icona simbolo della seconda lettera pastorale dell’arcivescovo di Milano, Carlo Maria Martini: “ma, a differenza di altre volte in cui la comunicazione è diretta (Gesù parla, comanda, tocca), qui è sufficiente un lembo del mantello, sfrangiato e impolverato, per stabilire la possibilità di un incontro”. La lettera è una riflessione sulla comunicazione, e, partendo dalle parole di Marco, mette in evidenza, nella scelta di sfiorare la tunica, il tema della fiducia nel Signore, della forza della fede.
Nella pagina di Marco non c’è solo la donna emorroissa che tocca il lembo del mantello. C’è la sorte di una bambina malata, anzi morta quando Gesù arriva al suo capezzale, figlia del capo della sinagoga, Giairo. Una donna anziana e una bambina, due persone fragili, deboli. La malattia più grave per Francesco è la “mancanza di amore, non riuscire a amare. E la guarigione che più conta è quella degli affetti”, dice all’Angelus. Gesù, afferma, “si imbatte nelle nostre due situazioni più drammatiche, la morte e la malattia”. In questo tempo segnato dalla pandemia il vescovo di Roma si sofferma proprio sulla malattia, e sottolinea che in questa “donna senza nome” possiamo vederci tutti: “era una donna emarginata, non poteva avere relazioni stabili, non poteva avere uno sposo, non poteva avere una famiglia” perché “impura. Viveva sola, con il cuore ferito”.
Storia esemplare: aveva fatto molte cure, “spendendo tutti i suoi averi senza alcun vantaggio”. Anche noi, sottolinea Francesco, “quante volte ci buttiamo in rimedi sbagliati per saziare la nostra mancanza di amore? Pensiamo che a renderci felici siano il successo e i soldi, ma l’amore non si compra, è gratuito. Ci rifugiamo nel virtuale, ma l’amore è concreto. Non ci accettiamo così come siamo e ci nascondiamo dietro i trucchi dell’esteriorità, ma l’amore non è apparenza. Cerchiamo soluzioni da maghi da santoni, per poi trovarci senza soldi e senza pace, come quella donna”.
Lei sceglie Gesù “e si butta tra la folla per toccare il mantello”, quella donna “cerca il contatto diretto”; in questo tempo sospeso, “abbiamo capito quanto siano importanti il contatto, le relazioni”. Così “il Signore attende che lo incontriamo, che gli apriamo il cuore, che, come la donna, tocchiamo il suo mantello per guarire”. Gesù “non guarda all’insieme, come noi, ma guarda alla persona. Non si arresta di fronte alle ferite e agli errori del passato, ma va oltre i peccati e i pregiudizi”. Egli “guarda per guarirle”. E chiede a tutti noi di vedere tante persone “si sentono ferite e sole e hanno bisogno di sentirsi amate”. Chiede “uno sguardo che non si fermi all’esteriorità, ma vada al cuore”; chiede, ancora, uno sguardo “non giudicante, ma accogliente”. Perché “solo l’amore risana la vita”.