I verbi della concretezza: guardare, toccare, mangiare. Essere cristiani è la relazione viva con il Signore risorto
Cosa ci dice la pagina di Luca, si chiede Francesco; ci dice che “Gesù non è un fantasma ma una persona viva”.
Luca nel suo Vangelo ci riporta, questa domenica, sui fatti avvenuti nel giorno della resurrezione, e l’insistenza non casuale, perché la Chiesa ci ricorda che ogni domenica è Pasqua. Di nuovo Gesù incontra i suoi discepoli, riuniti nel Cenacolo. I due tornati da Emmaus stanno ancora raccontando ciò che è accaduto loro, lungo la strada, quando vengono salutati da Gesù con queste parole: pace a voi. Nel vederlo sono presi da stupore e spavento, pensano si tratti di un fantasma. Dopo la diffidenza di Tommaso, dopo lo stupore dei due di Emmaus, ancora una volta troviamo incredulità in coloro che invece dovrebbero testimoni della sua presenza. “Venne tra la sua gente, ma i suoi non l’hanno accolto”. I suoi discepoli parlano di lui, delle cose meravigliose accadute, ma appena Gesù è in mezzo a loro, pensano si tratti di un fantasma, una figura non reale. Ecco il problema: l’incapacità di accogliere la buona notizia, di essere testimoni della morte e della resurrezione di Gesù. È in mezzo a loro, mostra le mani, i piedi, dice loro di toccarlo e di guardarlo perché “un fantasma non ha carne e ossa, come vedete che ho io”. Ancora Gesù chiede da mangiare, e gli viene data “una porzione di pesce arrostito; egli lo prese e lo mangiò davanti a loro”. Il risorto mangia, si fa guardare e toccare, non è una apparizione eterea. Manifesta la sua fisicità, e i suoi sono spaventati; anzi Luca scrive che erano “sconvolti e pieni di paura”; più avanti, nel suo racconto, afferma che erano “turbati” e “pieni di stupore”. Erano stupiti, dice papa Francesco, “perché l’incontro con Dio ti porta sempre allo stupore: va oltre l’entusiasmo, oltre la gioia, è un’altra esperienza”,
Torna di nuovo ad affacciarsi in piazza san Pietro il Papa, per la recita della preghiera del Regina caeli – “vi dico una cosa: mi manca la piazza quando devo fare l’Angelus in Biblioteca. Sono contento” – e nel commentare il brano di Luca evidenzia tre verbi “molto concreti”: guardare, toccare, mangiare. “Tre azioni – dice il Papa – che possono dare la gioia di un vero incontro con Gesù vivo”.
Guardare. “non è solo vedere, è di più, comporta anche l’intenzione, la volontà. È uno dei verbi dell’amore”. Guardare, afferma Francesco, “è un primo passo contro l’indifferenza, la tentazione di girare la faccia dall’altra parte, davanti alle difficoltà e alle sofferenze degli altri”. Toccare. Per il Papa è il verbo che indica relazione con lui e con i nostri fratelli; relazione che “non può rimanere a distanza, non esiste un cristianesimo a distanza”. Il buon Samaritano non si è fermato a guardare, ma “si è fermato, si è chinato, gli ha medicato le ferite, lo ha toccato, lo ha caricato sulla sua cavalcatura e lo ha portato alla locanda”. Infine, mangiare. È il verbo che “esprime bene la nostra umanità nella sua più naturale indigenza, cioè il nostro bisogno di nutrirci per vivere”. Mangiare insieme, ricorda il Papa, diventa “espressione di amore, espressione di comunione e di festa”. L’eucaristia è il “segno emblematico della comunità cristiana. Mangiare insieme il corpo di Cristo: questo è il centro della vita cristiana”.
Cosa ci dice la pagina di Luca, si chiede Francesco; ci dice che “Gesù non è un fantasma ma una persona viva” che “ci riempie di gioia” e “ci lascia stupefatti”. Essere cristiani “non è prima di tutto una dottrina o un ideale morale, è la relazione viva con lui, con il Signore risorto: lo guardiamo, lo tocchiamo, ci nutriamo di lui e, trasformati dal suo amore, guardiamo, tocchiamo e nutriamo gli altri come fratelli e sorelle”.
Con queste parole di papa Francesco possiamo cogliere un aspetto sul quale ha posto l’accento, in diverse occasioni nei suoi interventi: quante volte pensiamo che il Vangelo sia una specie di galateo delle buone maniere, parole astratte, lontane dalla vita di tutti giorni; parole belle ma difficili, se non impossibili, da rispettare, perché troppo esigenti, rigorose. Per usare espressioni care al Papa, rischiamo di essere cristiani “da pasticceria”. La mondanità, ricordava Francesco nell’omelia della Domenica delle Palme di sei anni fa, “ci offre la via della vanità, dell’orgoglio, del successo. È l’altra via. Il maligno l’ha proposta anche a Gesù, durante i quaranta giorni nel deserto”.