Gesù dorme per provocare noi. La fede comincia dal credere che non bastiamo a noi stessi, dal sentirci bisognosi di Dio
Gesù dorme nella barca. Dorme, quando non siamo più capaci di farci interrogare dalla sua parola, dorme per la nostra inerzia.
La scena si svolge sul lago di Tiberiade. Gesù ha appena terminato di raccontare, con due parabole, il mistero del Regno di Dio e l’importanza dell’ascolto della parola. Ai suoi chiede di passare all’altra riva. La barca attraversa il mare di Galilea, immagine della vita e invito a passare assieme al Signore all’altra riva, cioè andare oltre noi stessi, i nostri orizzonti ristretti. E come nella vita, nelle nostre vite, c’è il momento della tempesta: il tempo difficile in cui ci sentiamo smarriti, il tempo della malattia, della privazione dell’essenziale; il tempo delle difficoltà e della paura. Il maestro ha chiesto ai suoi di mettere in acqua la barca e di navigare, e loro hanno obbedito anche se l’ora è tarda; improvvisamente arriva la tempesta. E Gesù? “Se ne stava a poppa, sul cuscino e dormiva”, scrive l’evangelista.
Quante volte, siamo assaliti dalla paura, dai problemi della vita che si fanno così grandi che sembrano impossibili da risolvere, quasi acque impetuose di un mare in tempesta. Come gli apostoli “abbiamo gridato al Signore: perché resti silenzio e non fai nulla per me? Soprattutto quando ci sembra di affondare – dice papa Francesco all’Angelus – perché l’amore o il progetto nel quale avevamo riposto grandi speranze svanisce; o quando siamo in balia delle onde inesistenti dell’ansia”.
Come giudicare quel dormire del Signore? Gesù è nella barca, in mezzo ai suoi, nella tempesta che si è improvvisamente scatenata; ma, dice Francesco, “anche se dorme, Gesù c’è e condivide con i suoi tutto quello che sta accadendo. Il suo sonno, se da una parte ci stupisce, dall’altra ci mette alla prova”. Riflettiamo sul racconto di Marco, che scrive: Gesù stava a poppa. Come dire, il luogo in cui il pilota si trova per governare la barca, e dorme su un cuscino. Insomma, non è proprio il luogo giusto per riposare, per di più con il rischio di creare problemi a chi tiene il timone.
Angelus in una piazza San Pietro che torna a accogliere fedeli e turisti, che ascoltano l’appello del Papa sulla situazione del Myanmar, dove migliaia di persone stanno morendo di fame; per questo Francesco chiede corridoi umanitari per aiutare queste persone, e chiede che chiese, pagode, monasteri, moschee, templi, come scuole e ospedali siano rispettati come luoghi neutrali di rifugio. L’appello è al termine della preghiera mariana, nella giornata dedicata dall’Onu ai rifugiati: “tanti che vengono in barconi e nel momento di annegare gridano: salvaci. Anche nella nostra vita succede lo stesso: Signore, salvaci, e la preghiera diventa un grido”.
Gesù dorme nella barca. Dorme, quando non siamo più capaci di farci interrogare dalla sua parola, dorme per la nostra inerzia. Il Signore, dice Francesco, attende che noi lo coinvolgiamo, invochiamo, che lo mettiamo “al centro di quello che viviamo. Il suo sonno provoca noi a svegliarci. Perché, per essere discepoli di Gesù, non basta credere che Dio c’è, che esiste, ma bisogna mettersi in gioco con lui, bisogna anche alzare la voce con lui”.
Chiede il Papa: “quali sono i venti che si abbattono sulla mia vita, quali sono le onde che ostacolano la mia navigazione e mettono in pericolo la mia vita spirituale, la mia vita di famiglia, la mia vita psichica pure?” Gesù desidera, “vuole che ci aggrappiamo a lui per trovare riparo contro le onde anomale della vita”.
Cosa fanno allora i discepoli, si avvicinano a Gesù, lo svegliano: “non ti importa che siamo perduti?”, come leggiamo in Marco. “Ecco l’inizio della nostra fede: riconoscere che da soli non siamo in grado di stare a galla, che abbiamo bisogno di Gesù come i marinai delle stelle per trovare la rotta. La fede comincia dal credere che non bastiamo a noi stessi, dal sentirci bisognosi di Dio”. La risposta che da Gesù ai suoi – “perché avete ancora paura, non avete ancora fede?” – ci deve far riflettere; i discepoli hanno avuto paura “perché erano rimasti a fissare le onde più che guardare Gesù”. Quante volte “restiamo a fissare i problemi anziché andare dal Signore e gettare in lui i nostri affanni”; quante volte, dice ancora il Papa, “lasciamo il Signore in un angolo, in fondo alla barca della vita, per svegliarlo solo nel momento del bisogno!”