Festa patronale a Lecce: una cena offerta a tutti i poveri della città
La Chiesa locale ha voluto lasciare un segno profetico: una festa con una cena offerta a tutti i poveri della città a Sant’Irene, la chiesa barocca più grande di Lecce, situata sul corso principale a metà strada tra Piazza Duomo, dove nella Cattedrale si sono svolti i riti liturgici e della devozione popolare e Piazza Sant’Oronzo, il cuore pulsante della città antica, palcoscenico dei principali eventi di spettacolo
I fuochi pirotecnici quest’anno a Lecce non sono stati l’ultimo atto della festa patronale in onore dei Santi Oronzo, Giusto e Fortunato. La Chiesa locale ha voluto lasciare un segno profetico: una festa con una cena offerta a tutti i poveri della città a Sant’Irene, la chiesa barocca più grande di Lecce, situata sul corso principale a metà strada tra Piazza Duomo, dove nella Cattedrale si sono svolti i riti liturgici e della devozione popolare e Piazza Sant’Oronzo, il cuore pulsante della città antica, palcoscenico dei principali eventi di spettacolo.
A metà strada tra le manifestazione della fede e la tradizione popolare, la grande chiesa – un tempo sede della comunità religiosa dei Teatini – si è trasformata nel “cenacolo della carità leccese”. Più di un centinaio di persone, italiane e straniere, si sono sedute alla mensa allestite con una grande tavolata nella navata centrale. I volontari della Caritas hanno servito e animato con la musica la cena e la festa. Non è mancata l’incursione di turisti curiosi entrati per ammirare il gioiello barocco – in tanti ancora Lecce in questo scorcio di agosto – che non solo hanno apprezzato l’iniziativa ma sono anche stati invitati ad accostarsi alla stessa mensa. È intervenuto e ha cenato con i poveri, con l’arcivescovo e con alcuni sacerdoti anche il sindaco di Lecce, Carlo Salvemini.
“Lecce diventi la capitale della fraternità”
aveva auspicato l’arcivescovo Seccia alla vigilia della festa da Piazza Sant’Oronzo nel Messaggio alla città al termine della processione.
“È la novità di quest’anno – ha detto l’arcivescovo prima di benedire la tavola -. Credo la più significativa che spero possa replicarsi anche per altre occasioni di festa. È stato un modo di condividere la gioia della fede e della famiglia cristiana attraverso un gesto semplice che qui a Lecce è da anni ordinario vissuto quotidiano. Ogni giorno, tra mense e ristori serali, senza considerare l’accoglienza notturna alla Casa della carità e negli altri appartamenti messi a disposizione dalla diocesi, grazie alla schiera di volontari generosi, cerchiamo di rendere la vita meno amara a centinaia di poveri e di famiglie bisognose”.
I volontari Caritas delle parrocchie della città – Cattedrale, San Matteo, Sacro Cuore, San Massimiliano Kolbe – hanno preparato una cena multietnica a base di pizza, cous cous, riso, parmigiana, polpette, frutta, verdura e di altri prodotti tipici del Salento e della tradizione della festa patronale.
I ragazzi della Comunità di Sant’Egidio, che nella chiesa di Sant’Irene sono ormai di casa e che una volta la settimana preparano i panini imbottiti da distribuire alla stazione e negli altri luoghi ogni sera frequentati da persone disagiate, si sono uniti alla festa e hanno condiviso la gioia dello stare insieme.
“Abbiamo – ha concluso Seccia – grande rispetto della dignità di queste persone in difficoltà per questo, a parte il fotografo ufficiale della Curia che ha fatto qualche scatto per la documentazione, abbiamo ammesso i cineoperatori soltanto durante la fase di allestimento della cena. Ma non per fare propaganda ma perché pensiamo che ogni tanto, qualche ‘bella notizia’ sia di grande utilità al bene comune e possa fare da traino per chi ancora non ha compreso che l’essenza del Vangelo è nel comandamento dell’amore”.
Siparietto finale estemporaneo con l’arcivescovo che, al termine della festa, seduto sui gradini della chiesa, ha improvvisato qualche stornello napoletano accompagnato da uno degli ospiti che, dopo cena, “armato di chitarra”, si era fermato nel centro storico per racimolare qualche spicciolo dai passanti.
Vincenzo Paticchio