Terra terra... Memorie dei luoghi, memoria nostra. Da tramandare
Cento anni: una manciata di polvere e storia. Un secolo: così vicino, così lontano. Parliamo di tempo, di storia e memoria. Noi così lontani dai fatti, chiamati in questi mesi a celebrare con il centenario della Grande Guerra, chi fu protagonista e non sopravvisse a quella storia. Ma parliamo anche di paesaggi, con i luoghi delle battaglie oggi trasformati in santuari e sacrari dedicati alla memoria. Strumenti per non dimenticare.
Così, anche quando nei campi di guerra i “prati sono tornati a fiorire”, per citare il commovente film di Ermanno Olmi, paesaggio e parole corroborano contro l’eterno kronos (tempo), per evitare che tutto venga cancellato dal divenire della bios (vita) che si rigenera.
In molti, in questi mesi, torneranno con la memoria sugli scenari di guerra, non come testimoni, ma come depositari di una memoria rivolta a dare dignità a quei giovani, giovanissimi, trasformati in numeri da massacro. Carne da macello o concime per i campi. Fa impressione solo scrivere questo, non più di quelle memorabili righe di Ungaretti che, per laconicità, sembrano concentrare in un linguaggio naturale e sovrumano il concetto assoluto di guerra e terrore. Di vittime e testimoni: «Si sta come d’autunno sugli alberi le foglie». Paesaggio letterario metaforico.
Ma è pur sempre un dolore inspiegabile quello che noi siamo tentati di capire nel nome della memoria
Un dolore vecchio di un secolo, che si rigenera fino ai nostri giorni, in ogni situazioni di guerra.
Come inviato di guerra, durante i vari conflitti ho sempre sentito dai testimoni la preoccupazione di non riuscire a trasmettere l’orrore. Così viene spontaneo dire che: «Chi non ha vissuto la guerra, non può capire cosa sia essere in guerra».
Per quanto ci si sforzi con la sensibilità, la pietà, la solidarietà a comprendere, resta un esercizio impossibile verso la realtà. Così, davanti a questo centenario dove si celebra il ricordo per oltre 15 milioni di vittime, restiamo impotenti e disarmati di fronte alla verità dei fatti. Neppure il “sacro” basta per fare giustizia.
Il pietoso esercizio di andare sui luoghi della storia, dall’altopiano di Asiago, alle colline carsiche, fino alle vette dolomitiche, diventa così un pio gesto per raccogliere schegge di quelle emozioni
È qui, sul campo, che capiamo come l’uomo combattesse contro l’uomo, e gli uomini contro l’ambiente: pidocchi, topi, freddo, fame, sete Una guerra nella guerra. La terra trasformata in inferno, dagli uomini.
L’altopiano di Asiago ne è una testimonianza: oggi lussureggiante, con le abetaie care a Mario Rigoni Stern che si distendono a vista d’occhio. Ma negli anni ’17 e ’18 tutto venne trasformato in una landa di sassi e buche.
Poi però “son tornati i prati” descritti nel film di Olmi. E paradossalmente, in alcuni casi più fertili di prima, perché concimati dalla carne e dal sangue umano. Fa rabbrividire il pensiero che nell’immediato dopoguerra vi sia stata una importante ditta di fertilizzanti, ancor oggi attiva, che raccolse dai campi di battaglia tonnellate di ossa animali (ma anche umane) per trasformarle in concime.
È la storia a dircelo e in alcuni casi sono gli stessi campi a dimostrarcelo.
Il paesaggio quindi, ci aiuta a comprendere più ancora delle parole ciò che accadde
Così che, se una domenica decideste di raggiungere una delle tante trincee per farvi una scampagnata con tanto di spuntino, prendetevi un attimo di silenzio. Fermatevi e osservate quel paesaggio. Potreste sentirete delle voci e percepire immagini.
Memoria loci (del luogo). Memoria nostra.