In bicicletta col diabete, la sfida vinta di Andrea Peron
Dilettante col Cyber Team V.C. Breganze, dal 2013 Andrea Peron (classe 1998, di Borgoricco) è professionista con il Team Novo Nordisk (squadra di licenza statunitense), formazione tutta composta da atleti diabetici. A lui lo diagnosticarono a 15 anni, ma non è stato un ostacolo per inseguire il sogno del grande ciclismo.
«I primi anni, da ragazzino, era a Valentino Rossi che guardavo, un po’ pazzerello lo ero di mio, mi sarebbe piaciuto insomma correre con la moto, ma non si può dire sia uno sport tranquillo, sai com’è i miei e allora ecco la bici – sì, sempre due ruote… – e me la regalò mio padre, una bici da corsa Rebellato, era gialla, ce l’ho ancora. All’inizio me ne andavo giusto a fare giretti, è stata la stagione dopo che ho cominciato a fare gare, la prima corsa organizzata a Fiumicello, sono arrivato in gruppo e la ricordo come una bella emozione. È stato però più avanti, già da dilettante, che ho pensato che la bici avrebbe potuto diventare anche un lavoro, specie dopo aver vinto nel 2010 l’Astico-Brenta, corsa esigente quella: allora vuol dire che ci posso stare, così mi son detto».
«All’inizio, quando sono passato prof, dura chiamarlo proprio lavoro, mettici pure le virgolette, poi però l’entusiasmo dell’inizio cala, stai facendo sì quel che hai sempre sognato, ma le cose si ripetono, hai più responsabilità e pure gli anni passano: ora è proprio il mio lavoro. Sacrifici ne ho fatti, forse pure tanti, niente discoteca con i miei amici tanto per dire, ma devo ammettere che non è che mi sia pesato più di tanto. Sì, mi sento un privilegiato, specie se penso a quanta gente via via ha smesso; io invece che mi trovo a correre le corse che sognavo da bambino, lì a fianco con i campioni più grandi. In più giro il mondo, cosa questa che mi fa ancora più apprezzare quel che magari per tanti è routine e penso per esempio alla possibilità di stare giusto una settimana a casa con la mia ragazza».
«So quanto possa essere difficile realizzare i sogni di bambino, io ci sono riuscito. D’accordo, vincere è importante ed è quello pure il mio di sogno, essere protagonista in gare importanti, però ho capito che puoi essere felice pure aiutando un tuo compagno a fare o bene o facendo quei quasi 300 km di fuga che ho fatto alla Milano-Sanremo».
«Sì, in squadra ci sono tutti compagni che hanno il diabete, ce l’ho pure io. Me lo diagnosticò il nostro medico di famiglia, avevo 15 anni, nemmeno sapevo cosa fosse. La fortuna, chiamiamola così, è che fu proprio il dottore a dirmi di non lasciar stare, che se volevo potevo continuare e così è andata. Ormai adesso è qualcosa di “automatico”: sempre attento agli zuccheri, quanta insulina produco, mi conosco bene ormai. Capita a volte che lì sul pullman della squadra arrivino dei bambini diabetici, loro magari ci vedono come degli “eroi”, chissà, certo che essere da esempio e motivazione mica è poco».
«In queste ultime stagioni ho girato ancor più il mondo, quasi niente il tempo per fare il turista ma è proprio una vita vagabonda la nostra e se non proprio più “vecchio”, un po’ più maturo mi sento rispetto i miei amici. Lì dove abito, a Borgoricco, sono in una buona posizione, ho poco lontano Montebelluna, Valdobbiadene, anche Feltre e il Grappa, sono quelle le strade in cui mi alleno e poche volte invece scendo verso i colli Euganei, c’è da attraversare Limena e Padova, ce n’è di confusione. Da giovane ero più velocista, avevo più spunto, ora tengo di più in salita, sono più resistente, ma ho perso qualcosa in volata».
«Sono un perito informatico, m’ero pure iscritto a Statistica ma poi non ce la facevo a starci dietro, così ho scelto del tutto il ciclismo. Per quel che riguarda il “dopo”, un’idea di quel che farò ce l’ho: penso che farò il preparatore e già mi sono messo a seguire dei corsi di personal trainer.
No, non credo si possa consigliare a un ragazzino di far ciclismo, non serve a nulla dare consigli, quel che serve è che lui abbia passione, quella conta, allora sì lo può fare. Di fatica se ne fa tanta, magari ti capita di cadere, di farti male, di non stare bene, mezzo ammalato ed è proprio una fatica bestia quella che fai. Il mio punto debole? Che mi scoraggio facilmente, però quello forte è che velocemente mi riprendo».
Nella foto, Peron alla Volta ciclistica do Gran do Sol (foto Luis Claudio).