Da Tribano a Rio, Liam Bertazzo ce l'ha fatta. Ma quanta fatica il ciclismo su pista...

Con Liam Bertazzo, ciclista professionista della Wilier Triestina-Selle Italia. Alterna strada (ha partecipato pure alla passata edizione del Giro d’Italia) e pista ed è proprio con la pista che ha avuto sinora le maggiori soddisfazioni, con l’argento mondiale del 2015 e l’oro europeo nel 2013 sempre nell’americana e sempre in coppia con Elia Viviani. Altro argento poi agli Europei 2016 nell’inseguimento a squadre, specialità con cui ha preso parte alle Olimpiadi di Rio 2016, col quartetto azzurro che stabilendo il nuovo record italiano, ha fallito la finale per la medaglia di bronzo per appena 70 millesimi di secondo.

Da Tribano a Rio, Liam Bertazzo ce l'ha fatta. Ma quanta fatica il ciclismo su pista...

«La passione per il ciclismo è un qualcosa lì di casa mia, mio padre cicloamatore, mio fratello che correva e io invece ricordo che facevo all’inizio ginnastica artistica, proprio così.
Però era un qualcosa, come dire, serio, con fin troppa disciplina e così ho iniziato pure io con la bici, avevo 12 anni. Con la pista poi ho cominciato proprio per caso, era il mio primo anno da allievo, quella volta ne mancava uno e allora hanno aggregato me. Subito m’è piaciuto proprio tanto, me ne sono innamorato, è grazie alla pista che sono intanto riuscito ad arrivare a fare le Olimpiadi. Ora penso di più alla strada e l’obiettivo è quello di migliorare un passettino ogni anno e certo mi rendo conto quanto sia diverso adesso il livello, sono con dei fenomeni e capisco quanto si debba curare ogni particolare: il recupero, la dieta, tutto».

Liam Bertazzo («m’hanno chiamato così per via di Brady, sì, c’entra la Juventus…”) è nato a Este nel febbraio del 1992.
Dopo le stagioni da dilettante con la Trevigiani, è professionista dal 2015 (con la Southeast) e corre quest’anno per la Wilier Triestina-Selle Italia. Alterna strada (ha partecipato pure alla passata edizione del Giro d’Italia) e pista ed è proprio con la pista che ha avuto sinora le maggiori soddisfazioni, con l’argento mondiale del 2015 e l’oro europeo nel 2013 sempre nell’americana e sempre in coppia con Elia Viviani. Altro argento poi agli Europei 2016 nell’inseguimento a squadre, specialità con cui ha preso parte alle Olimpiadi di Rio 2016, col quartetto azzurro che stabilendo il nuovo record italiano, ha fallito la finale per la medaglia di bronzo per appena 70 millesimi di secondo. Vive a Tribano.

«Con la scuola ho fatto il Fermi, a Padova, liceo scientifico; sono uscito con 70 e non è che avessi poi tanta passione per i libri e comunque non ce l’avrei fatta a fare l’università.
Con la pista si comincia a ottobre, dopo la strada, e si va avanti sin quasi marzo e dunque sempre via, dura conciliare con lo studio e già non è stato facile prima: tornavo a casa alle due e mezza del pomeriggio, via con gli allenamenti sin quasi buio e c’erano poi i compiti che mi aspettavano. Poi le gare nei weekend, gli altri lì a ballare, io a correre. In fondo mi rendo conto che una compagnia vera e propria non l’ho mai avuta, col fatto che dovevo correre la sera non uscivo e pure adesso per dire d’estate, quando va bene, massimo farò una settimana al mare, niente di più».

«Di mio sinora posso dire d’averci messo tutto, sia di testa che di fisico. Soprattutto poi facendo pure la pista, a casa giusto per cambiare la valigia, sempre in giro e devi esserci sempre, sia di fisico che di testa: lì in bici sei solo e ti devi arrangiare. Sì, adesso è diventato un lavoro, però alla base c’è sempre passione e divertimento, che per me significa ad esempio il viaggiare, vedere posti, conoscere tante persone. Certo, capitano poi quelle giornate, di freddo, di nebbia, di pioggia: allora così bello proprio non è».

«Se mi sento un privilegiato? Mah, penso ai ragazzi della mia età, spesso mi pare che tirino i remi un po’ in barca per non lavorare. Io ringrazio il ciclismo perché mi permette sì di girare, ma anche perché mi sta insegnando il sacrificio, mi sta formando come persona: giro, vedo, incontro gente e imparo ad affrontare le situazioni. Più "vecchio” non so, ma certo mi considero più vissuto di tanti miei coetanei, ne ho viste di cose. La vedo quella loro mentalità, già arrivare sino a Padova vuol dire il massimo per loro, niente di più. Ho poi visto che anche col ciclismo – come in genere sa fare lo sport – hai la possibilità di stare fuori da giri vari, da tante complicazioni, anche dalla droga e ne ho visti tanti per cui non è stato così: lo sport è un toccasana, prima non me ne rendevo conto, parevano solo parole, ma ora sì che l’ho proprio capito».

«Le strade dove mi alleno sono le solite, comincio in genere con Calaone e poi su e giù per i Colli: Teolo, Castelnuovo, il Monte della Madonna.
No, la pista adesso la lascio un po’ stare, penso a crescere un po’ sulla strada e tornerò a tempo pieno da lei nel 2019, l’anno dopo ci saranno le Olimpiadi e vorrei esserci di nuovo, magari migliorando quel sesto posto di Rio. Se mi sento orgoglioso di me, di quel che ho fatto? Beh, penso che si può sempre fare di più e di meglio e così orgoglioso è una parola che sento ancora troppo grande per me. Qualcosa però l’ho fatto: sono soddisfatto, ecco».

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