Terremoto: "Non vi lasceremo soli". E se lo fossimo già, signor presidente?
«Non vi lasceremo soli» è il mantra che di governo in governo, di terremoto in terremoto, ci ha reso avvezzi – per non dire anestetizzati – alle parole più che ai fatti. Qualche giorno fa l’ennesimo sisma ha riportato lo spaventoso rituale della morte per strada e in casa. Contemporaneamente, ecco il rituale laico e non senza retorica della politica “soccorritrice” d’ogni terremoto...
Su un punto mi soffermo e offro sostegno al nostro presidente: sul fatto che in fondo siamo «soli»!
Qualcosa di ancor più abissale della frase latina Beata solitudine, sola beatitudine. Forse Lei presidente, non intendeva dire questo, e neppure sfiorare quel verso più vicino alla profezia che poesia, che dice: «Ognuno sta solo sul cuor della terra trafitto da un raggio di sole: ed è subito sera».
«Mandaci nuovi profeti», ammoniva il grande David Maria Turoldo. Mi perdoni se glielo rimarco, ma non vedo nei nostri politici alcun germe di saggezza e profezia che possa rispondere alle aspettative nostre e dei poeti.
Nessuna vera e duratura consolazione ci viene dal paese in cui viviamo. Noi che per esorcizzare ogni paura ci rifugiamo nei suoni, svaghi, hobby d’ogni genere, pur di sfuggire a questa umana realtà. Fino al momento in cui il terremoto fa tremare le nostre in-sicurezze. La terra ci fa tremare. Tremano gli affetti. Il passato, presente e futuro di borghi e città. Un attimo per comprendere che «tutto è vanità». Passiamo così da figli della terra a vittime della terra. Dov’è dunque la nostra madre che tutti decantano, vorremo gridare.
Perché ripetere «Laudato si’, mi’ Signore, per sora nostra matre Terra, la quale ne sustenta e governa, e produce diversi frutti con coloriti flori et herba»?
Tutto viene ricoperto con la polvere di un istante, lasciando Giona solo a gridare la sua solitudine al nostro fianco.
Ebbene, i terremoti ci dicono che «polvere siamo e polvere torniamo». È l’eterna lezione che non accettiamo!
Signor Presidente, non immagino che il tono del suo messaggio volesse spingersi così in profondità. Come non credo a quei politici ammanicati con le dinamiche di palazzo, che da decenni offrono l’inconcludente ricostruzione nel nome del “siamo tutti italiani”.
La nostra solitudine è anche frutto di quell’essere e fare politica che ci porta a “sentirci ancora più soli”, con e senza terremoto.
So, signor presidente di quella repubblica italiana sempre più travolta da macerie di varia natura, che impariamo poco dagli errori del nostro passato. E si vede e lo vede! Ci mostriamo quali «fratelli d’Italia... che se desta...», solo per gli interessi economici.
Ignoriamo il costo della bellezza (da conservare). La geologia, morfologia e geografia del nostro fragile paesaggio d’incanto. È vero, siamo un paese da fiaba, ma sappiamo che tutte le fiabe iniziano con il «c’era una volta». Ce lo dice la terra che trema. Ma lo gridano soprattutto chi ha a cuore questa nostra grande bellezza, da tutelare.
Invece, lo “Sblocca Italia”, pensa alle nuove infrastrutture. A distruggere piuttosto che creare o conservare.
Pensa a dirci che “con la cultura non si mangia”. Queste parole e fatti creano in superficie terremoti umani non meno devastanti di quelli che giungono dal sottosuolo.
Poi, eccoci a sfogarci in una solidarietà che spesso è poco razionale, quasi a voler attenuare certi sensi di colpa nazionale.
Orbene presidente, tra le poche certezze abbiamo quella di vivere in un paese con una sismicità tra le più alte del pianeta e 24 milioni di noi sono a rischio.
Se nei segni dei tempi, questi terremoti sempre più frequenti diventassero un messaggio diretto per risvegliare le coscienze degli italiani verso una consapevole presa di coscienza nazionale, offriremmo a tutti la terapia migliore contro ogni solitudine.
E forse, signor presidente, potremmo sperare che la prossima volta non si torni a ripetere «Non vi lasceremo soli».