«La vera era glaciale? Un futuro senza famiglia»
Don Paolo Gentili, direttore dell’ufficio famiglia della Cei, fa sintesi delle risposte pervenute dalle diocesi (139 su 226): «La preoccupazione più condivisa è che sempre più si rischia di vivere l’affetto sponsale senza giungere al matrimonio e fare figli senza aver fatto famiglia». La fatica di sposarsi in questo momento storico. Non elusi i problemi delle famiglie ferite. Il 3 ottobre la veglia in piazza San Pietro.
«La descrizione della realtà della famiglia presente nella Relatio Synodi corrisponde a quanto si rileva nella chiesa e nella società di oggi? Quali aspetti mancanti si possono integrare?»
È la domanda previa che fa da cornice al questionario inviato alle chiese locali dalla segreteria generale del Sinodo dei vescovi per continuare il cammino sinodale, iniziato lo scorso anno, e preparare adeguatamente l’Instrumentum laboris della prossima Assemblea sinodale (4-25 ottobre 2015), sul tema "La vocazione e la missione della famiglia nella chiesa e nel mondo contemporaneo".
Il 15 aprile è scaduto il termine ultimo per inviare le risposte
Come è stata vissuta questa fase dalla chiesa italiana? Facciamo il punto con don Paolo Gentili, direttore dell’ufficio nazionale per la pastorale della famiglia della Cei.
Don Gentili, come descrivere la realtà della famiglia italiana?
«Attualmente emerge la preoccupazione per il crollo dei matrimoni e per i tassi di natalità, per la difficoltà di spiegare ai nostri giovani la bellezza del "per sempre", per la confusione che sembra caratterizzare la vita di relazione, segnata da disorientamento e incertezza. C’è, tuttavia, un aspetto nuovo che va sempre più emergendo: l’esigenza di trovare un antidoto al virus dell’isolamento. Solo generando "un aiuto da famiglia a famiglia" si potrà impedire che una piccola crisi si trasformi in una separazione. E questo sta determinando anche un nuovo slancio da parte delle famiglie. "Una famiglia che adotta una famiglia": questo potrebbe essere uno slogan efficace per presentare la determinazione con cui molte coppie si fanno carico delle situazioni di difficoltà. Una realtà nuova, sottolineata anche in diverse risposte al questionario del Sinodo».
Al riguardo, che grado di partecipazione c’è stato nella chiesa italiana?
«Stiamo ancora ricevendo risposte che si aggiungono alle 139 diocesi italiane (su 226) che hanno completato il lavoro. In alcuni casi le 46 domande, che componevano il questionario, hanno provocato un certo timore sia per il numero sia per il linguaggio complesso. Tuttavia, le diocesi – e non solo – hanno accolto con entusiasmo questa nuova consultazione, mostrando con chiarezza la volontà di riscoprire la famiglia come soggetto ecclesiale».
Si può trarre un bilancio sulle maggiori preoccupazioni raccolte nelle risposte?
«La preoccupazione più condivisa è che sempre più, in Italia, si rischia di vivere l’affetto sponsale senza giungere al matrimonio e fare figli senza aver fatto famiglia. È la punta di un iceberg che manifesta la fatica di sposarsi in questo momento storico. La vera era glaciale sarebbe un futuro senza famiglia. E questo ci pone anche degli interrogativi su quanto siano attuali alcuni nostri schemi di pastorale familiare e giovanile, quanto impegno abbiamo profuso nei percorsi di educazione all’affettività e alla sessualità. E quanta strada rimanga ancora da fare».
E a proposito delle famiglie ferite (separati, divorziati non risposati, divorziati risposati, famiglie monoparentali) e della loro cura?
«Nelle risposte c’è un’importante consapevolezza: se non si abbatte il volto giudicante che spesso si percepisce nella comunità cristiana, non verrà mai in luce l’accoglienza. Al contrario, "l’arte dell’accompagnamento", anche nella dolorosa questione dell’esclusione dall’Eucaristia, è un balsamo sulle ferite».
Il cammino sinodale ha suscitato grande interesse sui temi della famiglia, non corrisposto però dall’attualità socio-politica italiana. Basta pensare al divorzio breve appena approvato.
«Vorremmo che lo stesso impegno messo nell’approvare il divorzio breve, il parlamento lo rivolgesse anche a chi vuole fare famiglia: purtroppo, però, così non è. Nelle famiglie possono sorgere difficoltà e divisioni, ma sei mesi sono pochi per acquietare i rancori e dare i dovuti supporti, per trasformare la separazione in una nuova opportunità d’incontro aprendosi al perdono. A fronte delle separazioni che culminano nel divorzio, infatti, vi sono anche esempi di coppie lacerate negli affetti che dopo anni hanno ritrovato una loro unità. Ora, invece, questo sarà reso più difficile dalla nuova normativa, anzi se nello stesso anno si potrà essere sposati a due persone differenti paradossalmente quello sposarsi viene privato di significato».
Sabato 3 ottobre, alla vigilia dell’apertura del Sinodo, la Cei propone come lo scorso anno una veglia di preghiera in piazza San Pietro. Può spiegarci il senso di questa iniziativa?
«Lo scorso anno, durante la veglia, abbiamo acceso in piazza San Pietro, ma anche nelle nostre case, centinaia di migliaia di fiaccole. Erano segno vivo della bellezza della famiglia in Italia, mostrando una chiesa che è faro per chi naviga nella notte. Quelle fiammelle non si sono spente, anzi… Lo slancio, manifestato anche attraverso la partecipazione al questionario, testimonia proprio la bellezza della famiglia ecclesiale, formata da tante famiglie. Vorremmo che questa tensione così estesa e capillare resti viva. In altre parole che il vangelo del matrimonio e della famiglia continui a far brillare la sua grandezza e la sua verità».
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