Dopo il sinodo: «Le chiese locali diano prova di vera sinodalità»
Lo storico Massimo Faggioli: «Le due celebrazioni del Sinodo a un anno di distanza ricordano per dinamica le intersessioni conciliari, ovvero il periodo gennaio-agosto che intercorse tra le quattro sessioni del Concilio Vaticano II: in quelle intersessioni i documenti discussi dai vescovi a Roma ricevettero contributi essenziali per la loro maturazione».
Il Sinodo dei vescovi “rinasce” a 50 anni dalla sua istituzione. Mai in passato un’assemblea sinodale aveva destato tanta attenzione come quella sulla famiglia, tenutasi, nei giorni scorsi, in Vaticano.
Ora conclusa la prima fase, il cammino prosegue nelle chiese locali lavorando sulla “Relatio Synodi”, il documento conclusivo dell’assise straordinaria, presentato alle Conferenze episcopali di tutto il mondo come “Lineamenta” dell’assemblea ordinaria che si terrà nell’ottobre 2015.
Queste due tappe vanno collocate «all’interno di una rinnovata vita sinodale della chiesa», sottolinea Massimo Faggioli, docente di storia del cristianesimo alla University of St. Thomas a Minneapolis / St. Paul (Usa). Dagli Stati Uniti, in cui vive e insegna, lo storico ci offre una lettura a tutto tondo del “percorso nuovo” avviato con questo Sinodo.
I vari passaggi, che hanno scandito l’assemblea straordinaria – dal questionario preparatorio fino alla “Relatio Synodi” – e che porteranno all’assemblea ordinaria del 2015, stanno contribuendo a riconfigurare il concetto di “sinodalità”? In questo “cammino insieme” c’è un maggior coinvolgimento di tutti i credenti?
«Il Sinodo dei vescovi non è inteso come un momento celebrativo di un consenso che si dà per scontato, ma è un’istituzione per la collegialità tra vescovi in una chiesa sinodale. La collegialità è una delle modalità del rapporto di comunione tra i vescovi insieme al papa, mentre la sinodalità coinvolge tutti i fedeli cattolici nella chiesa, in momenti diversi. Le due realtà hanno bisogno l’una dell’altra, e papa Francesco ha chiamato i vescovi a Roma per due sinodi, tra ottobre 2014 e ottobre 2015, non come tempi isolati, bensì all’interno di una rinnovata vita sinodale della chiesa cattolica».
«La forma di vita della chiesa è proprio sinodale e anche la famiglia cristiana si può dire che è come un sinodo in piccolo». Le parole del cardinale Raymundo Damasceno Assis, arcivescovo di Aparecida (Brasile), pronunciate a chiusura dei lavori sinodali, sono la sintesi efficace del cammino intrapreso. Il Sinodo, dunque, riparte…
«Riparte ed è una ripartenza in una situazione molto cambiata, che era difficilmente immaginabile solo due anni fa, quando l’esperienza dei sinodi nei trent’anni precedenti era di occasioni celebrative e, quindi, frustranti per i partecipanti».
Insomma un percorso “nuovo” pare tracciato e quello che è già iniziato non è un passaggio qualunque…
«Non è un passaggio qualunque, perché le questioni di cui ha parlato il sinodo sono questioni nuove nella storia del magistero della chiesa, che non sia magistero pontificio. E alla luce della storia della chiesa recente, è chiaro che le risposte date nel post-Concilio non sono esaurienti e definitive. Il Concilio Vaticano II, cinquant’anni fa, venne celebrato prima che queste questioni fossero parte della vita di tutte le chiese locali nella chiesa globale. In questo senso è un passaggio cruciale perché il dibattito sinodale deve riprendere dalle questioni più difficili, su cui non c’è un consenso prestabilito sulle soluzioni pastorali da adottare».
In che modo verranno colte le sfide poste dalla “Relatio Synodi”?
«Credo che il modo, in cui il dibattito sinodale dell’ottobre 2014 si è svolto, avrà un ruolo nel dibattito nella chiesa universale che inizia adesso: la decisione di papa Francesco di pubblicare la “Relatio” con i voti ricevuti per ogni singolo paragrafo è una decisione diretta a fornire una chiave interpretativa a quel documento e alle sue singole parti. Come è stato detto più volte in conferenza stampa, le due celebrazioni del Sinodo a un anno di distanza ricordano per dinamica le intersessioni conciliari, ovvero il periodo gennaio-agosto che intercorse tra le quattro sessioni del Concilio Vaticano II: in quelle intersessioni i documenti discussi dai vescovi a Roma ricevettero contributi essenziali per la loro maturazione».
In definitiva, come vivrà la seconda fase questo Sinodo sulla famiglia?
«Molto dipenderà dal papa, da come imposterà i prossimi dodici mesi: papa Francesco ha un disegno ampio in mente e i due Sinodi sono momenti essenziali di questo disegno di riapertura della chiesa al mondo, come esso è, nel segno della misericordia e dei poveri. Ma molto dipenderà anche dalle chiese locali, specialmente dai vescovi, ovvero se intendono far vivere di sinodalità anche le loro chiese locali oppure no. Dall’America, il paese in cui vivo, vengono segnali contrastanti: il neo-arcivescovo di Chicago, ad esempio, è chiaramente in sintonia con papa Francesco, ma molti altri vescovi, nominati da Giovanni Paolo II e Benedetto XVI, vedono questo pontificato come un elemento di disturbo per una dottrina che considerano consolidata in tutti i suoi dettagli e non soggetta ad alcuno sviluppo. La cosa sorprendente è che non si fanno scrupolo di criticare apertamente il papa, di fomentare la confusione e la divisione nella chiesa (come di recente hanno fatto Tobin del Rhode Island e Chaput di Philadelphia). Per loro sinodalità è sinonimo di parlamentarismo o di “protestantesimo” (inteso in senso negativo). La sfida che attende papa Francesco e la chiesa è appena iniziata».