Presentato al Due Palazzi "Mai dire mai": due carceri, dieci volti e storie
Presentato al Due Palazzi il docufilm diretto da Andrea Salvadore, promosso da Tv2000 e dalla diocesi di Padova che sarà trasmesso in due puntate il 6 e il 13 novembre.
"Mai dire mai", un ossimoro spinto, esasperato, fortemente contraddittorio, più di come esiga questa figura retorica. Perché "mai" è un avverbio definitorio, inesorabile, che non lascia margini alla discrezionalità, che non ammette di porre in discussione soprattutto se stesso: mai è mai, come sempre, tutto; ma c'è quel "dire" che scombussola certezze, non soltanto lessicali, e ripropone un tema decisivo nei destini dell'umanità: l'assoluto non ci appartiene. Teologicamente è una posizione consolidata: solo il Signore ha in mano l'eterno, il compiuto; a Dio appartengono le parole finali. Il resto per noi è illusione di definitivo, stabile, certo, anche quando si tratta di giustizia umana.
In questo anno di misericordia gli uomini di buona volontà sono stati invitati all'esercizio della precarietà della propria condizione e non all'abuso presuntuoso del definitorio, perché c'è sempre spazio, luogo, tempo per la conversione e la salvezza, di tutti. L'ossimoro iniziale, si potrebbe dire, appartiene a Dio; un modo con cui si mette in relazione con figli e fratelli; ma è anche un obbligo per chi crede e condivide la comunità umana.
Per questo, non è certo casuale, né tanto meno irrilevante che il docufilm, ambientato nei carceri Due Palazzi di Padova e Giudecca di Venezia, si intitoli proprio Mai dire mai, a sottolineare il fatto che redenzione e salvezza non appartengono alla sfera degli avverbi assoluti, ma all'amore del Padre e al cuore, alle scelte dell'uomo.
Si tratta di un lungo lavoro televisivo, proiettato in anteprima nazionale il 26 ottobre all'interno della casa di reclusione padovana, opera di Andrea Salvadore, promosso da Tv2000 e diocesi di Padova.
Il documentario è un viaggio attraverso i volti e le storie di chi ha commesso reati e subito pene severe; dieci persone detenute (otto uomini e due donne) nel carcere Due Palazzi e alla Giudecca. Le loro esperienze sono narrate in due puntate, il 6 e 13 novembre. Alternano le narrazioni dei detenuti, l'intervista al vescovo Claudio Cipolla, le esperienze dei cappellani del carcere di Padova, don Marco Pozza, e di Venezia, fra Nilo Trevisanato, il dialogo con i direttori delle case di reclusione, Ottavio Casarano e Gabriella Straffi, la voce di operatori di altre realtà presenti nelle due case di pena.
Il protagonista del documentario non è il carcere ma il recluso. Dieci storie, raccontate in prima persona, in cui il filo conduttore è l'acquisita volonta di abbattere quel perentorio "mai" e aprirsi a nuove opportunità. Due gli elementi che risultano decisivi in tale cammino: la potenza delle relazioni (con operatori, sacerdoti, familiari, colleghi di cella) e la possibilità di darsi da fare, di lavorare.
Dal punto stilistico e narrativo il docufilm appare originale, anche se forse legato a schemi un po' datati, ma che in questo contesto sono una scelta precisa e puntuale. Lunghe sequenze in cui i protagonisti narrano la loro vicenda, volti, sguardi, emotività palpabili; nessuna concessione alle immagini a effetto, che un carcere poteva anche suggerire.
«Oggi, il carcere - ha detto il vescovo di Padova Claudio Cipolla - è il centro della città. Qui è chiara ed evidente la presenza della sofferenza e dell'errore; in tanti hanno ammesso i propri sbagli e ora stanno pagando. Il fatto che la città sia presente, ascolti, usi la misericordia è davvero un miracolo; la guarigione non è riservata solo a chi ha commesso uno sbaglio ma anche alla stessa città. In questo mondo del carcere c'è bisogno di tenerezza e misericordia. E solo insieme si giunge a una crescita. I percorsi di formazione fuori e dentro sono fondamentali: esiste un mondo in cui la misericordia deve essere sperimentata continuamente. Nell'anno della misericordia trenta parrocchie hanno visitato questo carcere: hanno celebrato la messa e ascoltato i detenuti. Così si è creato un legame e dato umanità alla condizione in cui vivono queste persone».
«Non auguro a nessuno - ha commentato don Marco Pozza - di trascorrere un'ora in queste celle; ma vorrei che tutti vi passassero almeno una giornata». Solo per vedere, tentare di capire e cogliere che l'ossimoro del "mai dire mai" è possibile.