Laura Nota, università di Padova: «Va garantita la partecipazione sociale»
Mancano due mesi all'appuntamento elettorale in alcuni comuni anche del Padovano, in primis Padova. Il volontariato ritiene prioritario l'impegno dell'inclusione sociale, come spiega Laura Nota, delegata del rettore dell'Università di Padova per l'inclusione e la disabilità.
«Occuparsi di inclusione oggi significa assicurarsi che i contesti siano in grado di garantire a ogni persona, con le sue unicità, la partecipazione alla vita sociale e civile» Laura Nota, delegato del rettore dell’università di Padova per l’inclusione e la disabilità, aiuta a focalizzare il tema dell’inclusione sociale e culturale che le associazioni ritengono prioritario nel dibattito politico dei prossimi mesi.
«Se un contesto, in altri termini, risulta attento e solidale solo nei confronti di alcuni, tende di fatto a essere poco rispettoso delle differenze e, quindi, non inclusivo. Questo è particolarmente importante ai giorni d’oggi, nei quali globalizzazione, cambiamenti rapidi e repentini, terrorismo, transizioni forzate, eccessiva attenzione a logiche competitive, precariato, possono comportare l’incremento di forme di disagio e difficoltà e andare a discapito di coloro che già sperimentano forme di vulnerabilità. Si ha l’impressione che i tempi difficili facilitino il tentativo di emarginare, segregare, allontanare le persone con difficoltà e vulnerabilità, forse nel tentativo di “salvaguardare” qualcosa per qualcuno».
Quali sono le strategie che è possibile mettere in atto per facilitare processi di inclusione?
«Per fronteggiare la complessità in cui viviamo abbiamo bisogno di guardare con ancora maggiore attenzione ai processi inclusivi: l’inclusione richiede modificazioni, non si raggiunge una volta per tutte, è un fenomeno complesso, che necessita di punti di vista diversi, interdisciplinari, rigetta la standardizzazione ed è interessata a tutte le persone. L’accesso dei luoghi pubblici, ad esempio, riguarda uno dei primi passi per la realizzazione di contesti inclusivi, ma esso può caratterizzarsi come un processo unidirezionale, tramite il quale l’istituzione “apre le porte” a persone “diverse” da quelli tradizionali. Sarebbe invece auspicabile investire in partecipazione per essere maggiormente in relazione con la vita della comunità e attenti alle esigenze di gruppi di persone e di diversi stakeholder del territorio, tramite il coinvolgimento nei processi decisionali, nelle fasi creative, nella costruzione di significati».
La cultura può essere un mezzo per ridurre il disagio sociale?
«La cultura deve essere considerata uno strumento per affrontare situazioni di disagio e perseguire obiettivi socioeconomici. Si pensi a situazioni di dispersione scolastica, degrado urbano, micro criminalità... e alla realizzazione di progetti specifici per contrastare questi fenomeni in partenariato con le agenzie educative locali».
All’università di Padova state lavorando a “Un manifesto per l’inclusione e la percezione delle barriere”. Di cosa si tratta?
«Negli ultimi tempi l’inclusione è particolarmente minacciata e si sta facendo poco nei confronti dell’incremento dell’accessibilità per tutti alla formazione, al lavoro, a un’esistenza di qualità. L’idea di dare vita a un manifesto per l’inclusione che sta circolando nell’ateneo di Padova, nasce dal desiderio di promuovere una comunità nella quale siano presenti molti “difensori dell’inclusione”, che, oltre a considerare i diritti umani, segnalino la presenza di barriere fisiche, riguardanti l’accessibilità e la sicurezza degli ambienti, sociali, come la presenza di stereotipi e pregiudizi, e politico amministrative, come il non sempre facile accesso a dati e documenti e la presenza di norme amministrative che riducono la partecipazione e l’inclusione. In tutto questo si può pensare al coinvolgimento attivo della cittadinanza. In questa ottica diventa importante anche dare attenzione alla percezione delle barriere, a come vengono percepite le persone e i contesti dal momento che esiste ormai un’ampia letteratura a sostegno del fatto che il gradimento delle persone, l’auto-percezione e le “credenze” possono essere considerate indicatori validi ed attendibili della capacità inclusiva di organizzazioni e ambienti».