La "Buona scuola" si è scordata degli insegnanti di religione
La legge 107/15 ha dimenticato che oltre ai docenti di ruolo e ai supplenti, esiste una terza figura di stato giuridico, costituita dagli insegnanti di religione incaricati. E così migliaia di docenti con lunghi anni di carriera rischiano di essere penalizzati nel loro futuro professionale.
Tutte le scuole si stanno misurando in queste settimane con la legge 107/15, più nota come legge sulla Buona scuola. Gli insegnanti di religione cattolica, al pari dei loro colleghi, si sono interrogati sugli effetti che la legge poteva avere su di loro e si sono presto dovuti accorgere che il nuovo quadro giuridico tende a penalizzarli sotto vari aspetti.
Il primo dato è la semplice assenza di qualsiasi riferimento agli insegnanti di religione o all’insegnamento della religione cattolica. Di per sé non sarebbe un problema, dato che la legge si occupa in generale della gestione del personale docente senza entrare nei dettagli delle singole materie, salvo qualche eccezione, ma il legislatore ha commesso in questo caso una grave dimenticanza, avendo trascurato di considerare questa presenza scolastica, che è regolata da norme particolari.
Come si sa, il principale obiettivo della legge 107 vuole essere l’eliminazione o almeno la forte riduzione del precariato. I nuovi docenti assunti andranno a costituire il cosiddetto organico dell’autonomia, che sarà in futuro lo strumento con cui le scuole assicureranno la loro diversificata offerta formativa. In prospettiva gli insegnanti potranno essere solo di ruolo o supplenti, con l’avvertenza che le supplenze non daranno più diritto a una assunzione stabile secondo la logica delle graduatorie a esaurimento.
Purtroppo il legislatore si è dimenticato che accanto ai docenti di ruolo e ai supplenti esiste una terza figura di stato giuridico, costituita dagli insegnanti di religione incaricati. La legge 186/03, istituendo il ruolo anche per gli insegnanti di religione, ha infatti stabilito che una quota pari al 30 per cento del totale debba continuare a essere assunta con incarico annuale (di fatto confermato se permangono condizioni e requisiti di legge).
Attualmente la quota degli incaricati è ben superiore al 30 per cento, arrivando a oltre 12 mila, di cui almeno 10 mila equiparati agli insegnanti di ruolo per via delle condizioni contrattuali che già trent’anni fa avevano garantito loro un meno precario trattamento giuridico-economico.
La legge 107/15 non contempla questa distinzione e sembra condannare a una retrocessione gli insegnanti di religione che non possono vantare formalmente uno stato giuridico di ruolo. Se infatti non sono di ruolo, dovrà applicarsi loro la condizione dei supplenti, nonostante abbiano spesso trenta e più anni di servizio sulle spalle.
È il caso, ad esempio, delle ore di programmazione nella scuola primaria, che dal 1996 erano riconosciute nella misura di due a partire da incarichi per 18 ore (rispetto alle 22 ore dell’orario completo). Dato che ora ai supplenti le due ore di programmazione sono riconosciute solo se hanno il tempo pieno, nel dubbio il ministero tende ad applicare l’interpretazione più restrittiva, trattando gli incaricati come semplici supplenti.
I poveri insegnanti di religione incaricati hanno inoltre subìto all’inizio di questo anno scolastico un’ulteriore penalizzazione economica con il mancato pagamento dello stipendio di settembre (e in molti casi anche di ottobre).
Stavolta non c’entra la legge 107, ma il ministero ha ritenuto di far partire quest’anno la meccanizzazione del trattamento economico degli insegnanti di religione incaricati, che erano ancora gestiti manualmente. Vista la novità si è voluto attendere il perfezionamento di tutti i contratti di lavoro prima di dar corso al pagamento degli stipendi, mentre in passato non c’era soluzione di continuità. A oggi sembra che tutte le situazioni si siano normalizzate, ma per migliaia di insegnanti di religione l’anno è iniziato con una brutta sorpresa.
Il pericolo più grosso è però celato nella struttura dell’organico dell’autonomia, che a norma della legge 107 è costituito dai posti comuni, da quelli di sostegno e da quelli di potenziamento. Dato che l’insegnamento della religione cattolica non rientra in nessuna delle tre categorie, la conseguenza è che gli insegnanti di religione non appartengono all’organico dell’autonomia.
Gli effetti si sono già fatti sentire all’inizio di questo anno scolastico.
La legge stabilisce infatti che il dirigente scolastico scelga i suoi collaboratori tra i docenti dell’organico dell’autonomia. Se l’insegnante di religione non vi appartiene non può essere scelto come collaboratore del dirigente scolastico, nonostante abbia svolto questo ruolo per decine di anni. Il ministero si è affannato a rimediare con una nota di chiarimento emanata il 10 settembre scorso, ma ormai diverse scuole avevano compiuto le loro scelte e in vari casi l’insegnante di religione ha dovuto rinunciare a questa funzione. E anche altre funzioni di coordinamento sono legate all’organico dell’autonomia e produrranno le stesse conseguenze.
Anche i concorsi che dovranno essere banditi entro il prossimo dicembre sono ugualmente finalizzati a coprire i posti appartenenti all’organico dell’autonomia e quindi non sembra esserci la speranza di un nuovo concorso (almeno entro questa scadenza), nonostante siano oltre 4 mila i posti vacanti da mettere a concorso.
Insomma, quella che si è voluta definire una buona scuola si sta rivelando per gli insegnanti di religione una scuola matrigna.