Clinton-Trump, Ultimo mese di schermaglie
Dopo il primo faccia a faccia televisivo tra i due candidati, martedì si tiene alla Longwood University di Farmville (Virginia) il dibattito tra i vicepresidenti, il repubblicano Mike Pence e il democratico Tim Kaine. Il 9 ottobre il secondo scontro diretto fra Clinton e Trump alla Washington University di St. Louis (Missouri).
«Il voto cattolico è ancora incerto», dice Massimo Faggioli, docente di studi religiosi in Pennsylvania.
«La Clinton ha scelto un vice cattolico come Kaine, e Trump un vice ex cattolico ora evangelicale come Pence, ma Trump sembra in svantaggio tra i cattolici, nonostante la posizione chiaramente abortista (più che in passato) di Hillary Clinton. Trump ha raccolto un gruppo di consiglieri cattolici che conferma il tipo di cattolicesimo che lo sostiene: bianco, agiato, ultraliberista in economia, allergico al cattolicesimo sociale», spiega Massimo Faggioli, professore di “Theology and Religious Studies” presso la Villanova University, ateneo cattolico dello Stato della Pennsylvania.
Nell’ultima intervista parlava di una forte incertezza nel mondo cattolico americano di fronte ai due candidati presidenziali. E ora, a poche settimane dal voto?
«Non è chiaro, nel senso che storicamente il voto cattolico è uno “swing vote” che aiuta a vincere uno dei due candidati, a seconda di come la maggioranza dei cattolici vota. Il fatto nuovo è che la distanza tra il voto dei cattolici bianchi e quello dei cattolici non bianchi (latinos in particolare) sarà ancora maggiore che negli anni precedenti».
Quali Stati potrebbero far avvantaggiare un candidato proprio grazie all’elettorato cattolico?
«Sono gli stati del Midwest come Illinois, Ohio e Wisconsin, e della costa est come Pennsylvania, Massachusetts, New York. Ma un elettorato cattolico in quanto tale, prescindendo dai fattori etnici e sociali, non esiste più. In questo senso i cattolici latinos del sud e della costa ovest saranno molto importanti: ma è un voto determinato più dal fatto di essere latinos che dall’essere cattolici»
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Come si “muovono” le élites cattoliche?
«Sono schierate contro Trump, da sinistra (i cattolici democratici di Commonweal) o da destra (i cattolici dell’establishment repubblicano). Ma non ci sono più gli opinion makers di una volta che influenzano l’andamento della campagna elettorale, anche all’interno di una chiesa divisa come quella americana. È stato un dibattito di livello bassissimo, senza alcuna questione sostanziale al centro del dibattito».
L’episcopato statunitense sembra “fidarsi” più di Trump o della Clinton?
«I vescovi americani non si sono fatti sentire. La conferenza episcopale è spaccata e paralizzata da qualche anno ormai. Alcuni vescovi voteranno Trump, senza dirlo o vergognandosene, tanta è l’ostilità per Hillary Clinton come donna, come democratica e come moglie di Bill Clinton. Quel che colpisce però è l’incapacità dei vescovi di articolare un pensiero “sugli Usa” oggi e sulla crisi morale e culturale, di cui la chiesa americana è parte in causa».
Di fatto non c’è dunque un dibattito religioso che potrebbe avere un peso nel voto americano.
«Il tema dominante del rapporto tra i vescovi e Obama è stato quello della libertà religiosa, che i vescovi americani hanno interpretato come libertà della chiesa di dettare alla politica e ai fedeli alcune direttive in materie morali (materie gravi, che non vanno sottovalutate)».
Le grandi sfide sociali e pastorali proprie del magistero di papa Francesco hanno voce nel dibattito politico interno?
«Francesco è ammirato personalmente da molti cattolici e non cattolici, ma come era prevedibile il suo messaggio è caduto nel dimenticatoio in questa campagna volgare e personalistica a causa di Trump e della bancarotta morale del partito repubblicano americano. Questo è dovuto anche alla notevole distanza culturale tra il cattolicesimo in quanto tale e il cattolicesimo nordamericano oggi».