XXVII Domenica del tempo ordinario *Domenica 8 ottobre 2017
Matteo 21, 33-43
Per la terza settimana di fila i discorsi di Gesù si concentrano sull’immagine di una vigna. Leggendo la sacra scrittura in effetti può capitare facilmente di imbattersi in pagine che parlano di vigne, tanto da chiedersi come mai questa insistenza. Il popolo ebraico considera la vigna un vero e proprio simbolo. Una delle immagini più rappresentative è quella degli esploratori che tornano dalla visita alla terra promessa portando viti con enormi grappoli. Proprio queste raffigurazioni ci spiegano perché la vigna si sia così impressa nella mente e nel cuore degli ebrei. Era un popolo infatti che aveva fatto una lunghissima esperienza di vita nomade, nel deserto. Avere prodotti della terra diventava una benedizione grandissima dal cielo, visto che vagavano con l’idea di arrivare in una terra promessa loro da parte del Signore. Così la vigna viene presa come emblema di questa promessa mantenuta nel momento in cui il popolo ebraico finalmente si costituisce in uno stato su di un suo territorio. Emblema di stabilità, sicurezza, certezze dopo un vagare senza niente di scontato, ma anche e soprattutto emblema dell’amore di Dio, che era stato l’unica e la sola speranza di quel popolo durante il suo lungo viaggiare.
Gli eredi della vigna
La vigna sottolinea tutti i momenti in cui il Signore si è manifestato e ha preso per mano Israele prendendosene cura, come ben descrivono le parole di Gesù che mostra un padrone della vigna che la riempie di attenzioni: la circonda con una siepe, scava una buca per il torchio, costruisce una torre... sembra di vederlo affaccendarsi con tutte le premure possibili attorno a questa sua passione. Anche la prima lettura della liturgia di oggi mostra una vigna lavorata dal Signore. Per bocca del profeta Isaia si sentono tutti i gesti compiuti per amore della vigna. Isaia avrebbe anche potuto limitarsi a scrivere che il Signore aveva una vigna e se ne prendeva cura; invece descrive ogni singola azione di questa premura. Attraverso queste immagini, col tempo la vigna si è trasformata in un forte simbolo di speranza: la vigna infatti non è abbandonata a se stessa.
Colui che ha fatto tutte quelle cose per la sua vigna, le ha compiute in vista di chi di quella vigna avrebbe dovuto beneficiare. E ha sempre continuato a farle, non ha mai smesso e non ha intenzione di farlo. L’amore del Signore per la sua vigna e i suoi occupanti è senza limiti. È talmente grande da vincere ogni rifiuto. Gesù apprezza questa immagine, usandola e facendola propria perché la vive in prima persona. Le persone che ha davanti potranno anche non volerlo, rifiutarlo, ma lui non potrà che continuare a riversare le sue attenzioni e premure su di loro, amandoli ancora di più. Così la vigna continua ad assumere ulteriori sfumature, diventa un lamento, un doloroso e accorato lamento per un amore non corrisposto. Perché in effetti il Signore si era dato non poco da fare per quella sua vigna.
Il lungo elenco dei gesti descritti si dimostra ancora illuminante. Ci mostra un Dio che non vive distaccato, lontano. È un Dio che agisce, opera, fa, si sporca le mani. Non vuole tirarsi indietro, perché si è già incarnato, cioè ha saputo trasformare il suo amore per noi in gesti concreti. Si è anche sporcato la faccia: ha trattato Israele con tutte le attenzioni possibili davanti agli altri popoli, ed è stato ripagato nel modo peggiore. Ma non importa. Lui continua a riversare il suo amore e inviare servi, dovesse ricorrere anche al suo stesso figlio. Questa è la lezione più grande che si può trarre da questa vigna: quando si ama non ci sono soste, non ci sono pause, non ci sono calcoli. Non ci sono neanche fatiche, anzi proprio le fatiche potrebbero trasformarsi e diventare prove d’amore. Gesù non sta facendo filosofia, sta semplicemente spiegando come riuscirà ad amarci fino in fondo, come il figlio della parabola arrivando al sacrificio. Ricordiamoci che il gesto d’amore grande che è l’eucarestia Gesù ha saputo tirarlo fuori da una notte in cui si è consumato un tradimento, uno di quelli descritti in questa parabola. Una notte tremenda per lui, ma lui ha saputo tirare fuori da quella notte per noi qualcosa che continua ancora oggi a dare forza a ciascuno che vi prende parte.
Anche la pietra scartata è sempre lui, Gesù, che può essere raccolta da chi vuole e diventare forza, saldezza per costruire sopra qualcosa che stia saldo e non crolli. La roccia su cui aveva fondato la sua chiesa quando aveva dato il potere delle chiavi a Pietro ancora una volta si allarga, e prende dentro quanti vogliono aderire a questa costruzione. Su questa pietra potrà salire chiunque: i figli del suo popolo, i peccatori come si alludeva la settimana scorsa, ma anche tutti gli altri popoli, come inizia a far trasparire Gesù alla fine di questa discussione.