Domenica delle Palme *Domenica 13 aprile 2025
Luca 22,14-23,56

Ho tanto desiderato mangiare questa Pasqua con voi, prima della mia passione.
Quando venne l’ora, [Gesù] prese posto a tavola e gli apostoli con lui, e disse loro: «Ho tanto desiderato mangiare questa Pasqua con voi, prima della mia passione, perché io vi dico: non la mangerò più, finché essa non si compia nel regno di Dio». E, ricevuto un calice, rese grazie e disse: «Prendetelo e fatelo passare tra voi, perché io vi dico: da questo momento non berrò più del frutto della vite, finché non verrà il regno di Dio».
Fate questo in memoria di me.
Poi prese il pane, rese grazie, lo spezzò e lo diede loro dicendo: «Questo è il mio corpo, che è dato per voi; fate questo in memoria di me». E, dopo aver cenato, fece lo stesso con il calice dicendo: «Questo calice è la nuova alleanza nel mio sangue, che è versato per voi».
Guai a quell’uomo dal quale il Figlio dell’uomo viene tradito!
«Ma ecco, la mano di colui che mi tradisce è con me, sulla tavola. Il Figlio dell’uomo se ne va, secondo quanto è stabilito, ma guai a quell’uomo dal quale egli viene tradito!». Allora essi cominciarono a domandarsi l’un l’altro chi di loro avrebbe fatto questo.
Io sto in mezzo a voi come colui che serve.
E nacque tra loro anche una discussione: chi di loro fosse da considerare più grande. Egli disse: «I re delle nazioni le governano, e coloro che hanno potere su di esse sono chiamati benefattori. Voi però non fate così; ma chi tra voi è più grande diventi come il più giovane, e chi governa come colui che serve. Infatti chi è più grande, chi sta a tavola o chi serve? Non è forse colui che sta a tavola? Eppure io sto in mezzo a voi come colui che serve. Voi siete quelli che avete perseverato con me nelle mie prove e io preparo per voi un regno, come il Padre mio l’ha preparato per me, perché mangiate e beviate alla mia mensa nel mio regno. E siederete in trono a giudicare le dodici tribù d’Israele. (continua)
È unico Gesù nell’arte di trasfigurare il male in bene. Riesce, infatti, a trasformare una passione urlata di dolore in una passione silenziosa di amore. Tutti cercano in lui il capro espiatorio di tutte le ingiustizie del mondo e lui, invece, si offre come agnello che sa belare solo misericordia e perdono. «Ho presentato il mio dorso ai flagellatori – recita Isaia – le mie guance a coloro che mi strappavano la barba; non ho sottratto la faccia agli insulti e agli sputi» (Is 50,6). È il modo, con cui Gesù riesce a svelenire ogni cattiveria e a rendere sacro ogni attimo della vita.
L’iniziativa di tutto, infatti, anche se è il popolo a urlare e i maggiorenti della città a prendere le decisioni, resta sempre e comunque in mano sua. È lui, infatti che si dona come pane da consumare insieme. «Gesù prese il pane, rese grazie, lo spezzò e lo diede loro dicendo: “Questo è il mio corpo, che è dato per voi; fate questo in memoria di me”. E, dopo aver cenato, fece lo stesso con il calice dicendo: “Questo calice è la nuova alleanza nel mio sangue, che è versato per voi”» (Lc 22,19-20).
Non è una disgrazia rompersi in amore, e darsi da mangiare a chi ha fame di vita piena. «Ho tanto desiderato mangiare questa Pasqua con voi» (22,15). È vino di festa che ravviva gli angoli più nascosti del nostro stare insieme. No! Infatti, non è discutendo su chi è più grande che si coltiva la pace. «Voi non fate così; ma chi tra voi è più grande diventi come il più giovane, e chi governa come colui che serve» (22,26). Amare è rammendare con semplicità i dolori di chi ami, stargli accanto, anche quando ti volta le spalle. Lui lo può fare, ma tu no! Tu devi avere sempre la «guancia» di perdono per chi ti schiaffeggia!
È questo che Gesù tenta di dire a Giuda che lo consegna per trenta denari ai sacerdoti del tempio. Quanti soldi ricava Giuda a tradire Gesù? Trenta denari, il prezzo di uno schiavo! E Gesù non vuole essere altro: «Io sto in mezzo a voi come colui che serve» (22,27). Servo di Dio e, quindi, servo dell’umanità.
Avranno un bel palleggiarsi reciprocamente le decisioni i sacerdoti, Pilato, Erode e la folla. Pilato lo dice chiaramente: «Ecco, io l’ho esaminato davanti a voi, ma non ho trovato in quest’uomo nessuna delle colpe di cui lo accusate. Perciò, dopo averlo punito, lo rimetterò in libertà”. Ma essi si misero a gridare tutti insieme: “Togli di mezzo costui! Rimettici in libertà Barabba!”» (23,14-16).
Alla libertà di Gesù, che non capiscono, preferiscono la delinquenza di Barabba, più che nota a tutti. È tutto dire! Cos’è? Il male che ingigantisce il suo potere? No! Occorre avere occhi lunghi, ci dice Paolo: «Gesù, pur essendo nella condizione di Dio, non ritenne un privilegio l’essere come Dio, ma svuotò se stesso assumendo una condizione di servo, diventando simile agli uomini. Dall’aspetto riconosciuto come uomo, umiliò se stesso facendosi obbediente fino alla morte e a una morte di croce» (Fil 2,6-8).
A seguirlo con gli occhiali di tutti ci si perde per strada. Capita agli apostoli all’orto degli ulivi, quando irrompe il tradimento di Giuda. Capita nel cortile del tempio a Pietro che non trova le parole giuste per rispondere a dei servi solo curiosi del caso. Capita a Erode che, da fantoccio qual è non trova in Gesù il mago delle stranezze tanto sperate. E più maldestramente capita anche ai soldati, che vigliaccamente si prendono beffe di lui. È un’incomprensione che lo segue fin su sulla croce: «Se tu sei il re dei Giudei, salva te stesso» (23,37). Una richiesta, che Gesù non raccoglie! Sta sbagliando tutto? No! Sta mostrando un amore così grande da «far gridare le pietre» (Lc 19,40).
Lo testimonia il ladrone, che sulla cima del Calvario arriva a zittire il suo compagno di sventura. Lo svergogna nella maniera più diretta, per poi chiedere a Gesù quello che sulla terra aveva cercato di avere e non l’aveva trovato, qualcuno che si «ricordasse» di lui, qualcuno che lo amasse: «Gesù, ricordati di me, quando entrerai nel tuo regno!» (23,42). Che capisse o no quello che diceva non lo sapremo mai, ma che avesse trovato finalmente in Gesù chi lo capiva, sì: «In verità io ti dico, oggi con me sarai in paradiso» (23,43). Gesù lo salva solo per questa ultima nostalgia del bene, che rimane anche a chi la vita ha cresciuto nel male. Lui l’ha sempre detto. Sotto la strada, sotto i sassi, sotto i rovi c’ è sempre il terreno buono della parabola, e lo si può trovare anche all’ultimo istante della vita. È solo a questo punto che Gesù dà le sue consegne al Padre: «Nelle tue mani consegno il mio spirito» (23,46).
No, Gesù non ha sacrificato niente della sua vita, anzi ha reso tutto sacro tutto quello che ha detto e fatto. In lui, infatti, si incontra il desiderio più ardente di Dio e il desiderio più intimo dell’uomo: si incrociano sul suo corpo e fanno scoppiare la scintilla della Pasqua. È così forte che scoppia anche sotto la corazza d’un uomo d’arme. È, infatti, il centurione, che «visto ciò che era accaduto, dava gloria a Dio dicendo: «Veramente quest’uomo era giusto» (23,47).
«Per questo Dio lo esaltò – ci spiega Paolo – e gli donò il nome che è al di sopra di ogni nome, perché nel nome di Gesù ogni ginocchio si pieghi nei cieli, sulla terra e sotto terra, e ogni lingua proclami: “Gesù Cristo è Signore!”, a gloria di Dio Padre» (Fil 2,9-11). Lo capisce alla fine, poi, anche la folla. Infatti, «se ne torna battendosi il petto, mentre le donne, stavano a guardare da lontano» (Lc 23,48-49). A raccogliere le reliquie di tanto mistero si preoccupano due uomini finora latitanti, Nicodemo e Giuseppe d’Arimatea. Altre pietre che si spaccano al sole, a gridare tanto amore versato.
frate Silenzio
Sorella allodola
C’è solo da perdersi nel Dio che si perde per noi!
Nella foto: "Il Cristo giallo" di Paul Gauguin.