Domenica delle Palme *13 aprile 2014
Matteo 26, 14-27,66
Quando furono vicini a Gerusalemme e giunsero presso Bètfage, verso il monte degli Ulivi, Gesù mandò due discepoli, dicendo loro: «Andate nel villaggio di fronte a voi e subito troverete un’asina, legata, e con essa un puledro. Slegateli e conduceteli da me. E se qualcuno vi dirà qualcosa, rispondete: “Il Signore ne ha bisogno, ma li rimanderà indietro subito”». Ora questo avvenne perché si compisse ciò che era stato detto per mezzo del profeta: «Dite alla figlia di Sion: “Ecco, a te viene il tuo re, mite, seduto su un’asina e su un puledro, figlio di una bestia da soma”». I discepoli andarono e fecero quello che aveva ordinato loro Gesù: condussero l’asina e il puledro, misero su di essi i mantelli ed egli vi si pose a sedere. La folla, numerosissima, stese i propri mantelli sulla strada, mentre altri tagliavano rami dagli alberi e li stendevano sulla strada. La folla che lo precedeva e quella che lo seguiva, gridava: «Osanna al figlio di Davide! Benedetto colui che viene nel nome del Signore! Osanna nel più alto dei cieli!». Mentre egli entrava in Gerusalemme, tutta la città fu presa da agitazione e diceva: «Chi è costui?». E la folla rispondeva: «Questi è il profeta Gesù, da Nazaret di Galilea».
FarTi (la) festa
Gesù entra in Gerusalemme con la serena consapevolezza che c’è un calice da prendere e bere fino in fondo: non c’è un destino implacabile che lo trascini alla morte. Gesù nel suo ingresso messianico nella Città Santa è attivo, dà indicazioni e disposizioni, come chi è protagonista della sua esistenza, non vittima rassegnata, sacrificata al cieco fato. Già questo può smascherare e illuminare certi atteggiamenti vittimistici non così rari oggi, per cui c’è sempre una qualche realtà che ci opprime, erode i nostri diritti, conculca la nostra libertà. E noi si sarebbe schiacciati da un meccanismo infernale che ci esproprierebbe di noi stessi: da qui un torrente di lamentazioni, un fiume di insoddisfazione, un mare di frustrazione. Invece Gesù cammina a testa alta, lucido e consapevole di quel che lo aspetta, senza recriminare. Anche se sa che quella folla che gli fa festa, gli farà la festa.
Asina e puledro.
Perché tanto parlare di una coppia di animali? Innanzi tutto Gesù non si presenta a cavallo, come un re guerriero che confida nella forza militare, ma in forma umile e pacifica, come profetato da Zaccaria. Gesù non teme di deludere le attese e le speranze improprie di tanti, anche fra i suoi discepoli. Riconosciamo anche noi come chiesa il bene di non rincorrere le aspettative mondane che imprigionano la chiesa come un importante “attore” sociale, come un blocco sociale, come portatrice di valori-interessi. Tanto più quando si avvicinano le elezioni... Andando oltre, come osserva un padre della chiesa (san Giustino nel Dialogo con Trifone): «L’ordine di portare entrambi gli animali era un preannuncio che riguardava quelli che avrebbero creduto in lui provenendo dalla sinagoga e dalle genti. Come infatti il piccolo d’asina senza basto era simbolo dei credenti che provengono dalle genti, così l’asina col basto lo era di quelli che provengono dal popolo eletto: vi pesa sopra, infatti, la Legge datavi tramite i profeti». Il culmine della vita di Gesù è quindi nel segno di un amore che riconcilia il popolo eletto e tutti gli altri. Guarisce chi è chiuso nella sua pretesa di autosufficienza: nei capitoli seguenti Gesù bacchetterà duramente scribi e farisei troppo sicuri di sé. Convoca e chiama tutti i popoli a quel trono, la croce, dove regna l’amore (infatti sarà un pagano, il centurione romano, sotto la croce, a fare una chiara professione di fede nella divinità di Gesù, «Davvero costui era Figlio di Dio!» Mt 27,54). A Gerusalemme non entra per coalizzare gli ebrei contro l’oppressore ma per essere forza di riconciliazione, per portare pace.
La folla
«La folla, numerosissima, stese i propri mantelli sulla strada». Il mantello a quel tempo era realtà assai preziosa: copriva ed esprimeva l’identità personale. «Se prendi in pegno il mantello del tuo prossimo, glielo renderai prima del tramonto del sole, perché è la sua sola coperta, è il mantello per la sua pelle; come potrebbe coprirsi dormendo? Altrimenti, quando griderà verso di me, io l’ascolterò, perché io sono pietoso» (Es 22,25). Lasciare calpestare il proprio mantello da due animali e dalla gente era davvero un gesto forte di disponibilità. È una folla tanto numerosa, quanto volubile: fra non molto salverà Barabba, abbandonando Gesù che tanto festosamente aveva acclamato. Come è vero che la verità non va a braccetto in automatico con l’interesse dei più, con l’opinione della maggioranza, manipolabile!
Un Gesù scomodo
E Gesù è umile e mite, senz’altro, ma facciamo attenzione alle interpretazioni rassicuranti e quindi fuorvianti. Se infatti la città è tutta agitata per l’arrivo di Gesù, egli la scuoterà ben di più scacciando dal tempio tutti quelli che compravano e vendevano, rovesciando i tavoli dei cambiamonete e le sedie dei venditori di colombe (cfr Mt 21,12s): non sono modalità così pacifiche. Poco più oltre Gesù seccherà dalla radice un fico, colpevole di non avere frutti che saziassero la sua fame. Polemizzerà aspramente con scribi, farisei ed establishment religioso. Gesù è tutt’altro che politically correct: perché la mitezza non è assenza di passione per il bene e il vero, perché l’umiltà non è rinuncia ma condizione per mettere tutto se stessi in una causa. Non proiettiamo, insomma, su Gesù il nostro irenismo (dal dizionario, atteggiamento di chi, per malinteso amor di pace, è disposto a rinunciare ai suoi principi). La pace e la mitezza non hanno a che fare con l’arrendevolezza e non sono sdolcinate: hanno il timbro forte e anche ruvido dell’amore alla verità.