Filippine, la minaccia ai diritti umani viene direttamente dal governo
"Sboccatezza", esecuzioni sommarie, spaccatura con la chiesa locale. Rodrigo Duterte, presidente dell'Arcipelago, preoccupa il mondo. Ma sono molti i paesi del del Sudest Asiatico che stanno mantenendo la stessa rotta. In Thailandia la gente ha rinunciato a cospicue porzioni di democrazia, per lasciare mano libera al regime militare di mettere ordine alla politica. Il Laos continua sulla strada della dittatura ideologica. Il Myanmar vuole lavare l’immagine con esibite tappe democratiche, ma la sostanza resta solidamente dittatoriale. Per non parlare della Cina...
La squadra del “non-politically-correct” si arricchisce via via di nuovi componenti.
E il pubblico sembra guardare curioso più che indignato. Non solo negli Stati Uniti o in Italia ci si può permettere di insultare, disprezzare, diffamare pubblicamente, ma ormai sembra essere quasi gradito dalla gente il linguaggio duro, diretto, volgare ritenendo erroneamente che basti il gergo scurrile perché tutto si trasformi in verità. Ci avviciniamo pericolosamente al confondere “schiettezza” con “offensivo”.
E così anche nelle Filippine viene eletto un presidente, Rodrigo Duterte, che fa della “sboccatezza” la sua arma vincente, apprezzata dai suo elettori. Già questo basta per riflettere sul modello di politico che abbiamo in mente, ma Duterte va oltre. Da quando è stato eletto, a parte gli insulti a destra e a manca, che nessuno ha il coraggio di riprendere, sta svolgendo una campagna di eliminazione fisica degli spacciatori di droga o di chi si crede lo sia.
Dal 30 giugno, quando ha assunto il potere, le ong denunciano l’eliminazione sommaria, senza giudizio, senza investigazione, al margine di ogni regola del diritto, di 800 persone. Così. Sul posto. Al mercato o all’angolo della strada. Probabilmente la popolazione era satura di corruzione, di delinquenza, di pericolosità. La pulizia si doveva fare. E questo metodo sembra funzionare. Inoltre già è allo studio la proposta di legge di abbassare da 15 a 9 anni l’età perseguibile di un “criminale”. Un metodo che è stato applicato da vent’anni dagli squadroni della morte a Davao City. E con la protezione delle autorità locali, guarda caso il sindaco Duterte.
Si sa che non ci sono mai stati rosei rapporti con la chiesa. Lo stesso presidente lamenta da tanto le vicende di abusi sui minori, da lui vissuti, sembra, anche di persona, il clientelismo dei pastori e il contrasto esplicito tra i suoi metodi risolutori e le indicazioni religiose. Lui stesso dichiarava: «Se ascoltassi i dieci comandamenti, così come alcuni preti li presentano, non potrei più fare nulla come sindaco». Ciò nonostante, ha chiarito di aver messo “temporaneamente tra parentesi” la sua fede. Oggi lo scontro sembra inevitabile. Con la chiesa e con varie organizzazioni di difesa dei diritti umani.
Le esecuzioni sommarie, ora applicate su scala nazionale, la crudezza del linguaggio, la tracotanza e la sicurezza dimostrata nel perseguire la criminalità ormai fanno temere una deriva sociale. La Conferenza episcopale filippina si è schierata a favore dei diritti civili e del senso di umanità. Il presidente, mons. Socrates Villegas, ha apertamente esposto la posizione della chiesa in un’omelia del 7 agosto scorso. Successivamente tutto l’episcopato ha lanciato una campagna titolata “Non uccidere” con cui vuole educare le comunità e accompagnare i gruppi e le famiglie che subiscono morti o sparizioni illegalmente.
Questo è il primo passo per applicare la risoluzione che la stessa conferenza episcopale approvava il 20 giugno scorso per rafforzare il diritto, la legalità, la ragione e l’umanità. Ma la strada dell’educazione, della formazione e della democrazia resta ardua.
Vari paesi della zona del Sudest Asiatico stanno mantenendo la stessa rotta. In Thailandia la gente ha rinunciato a cospicue porzioni di democrazia, per lasciare mano libera al regime militare di mettere ordine alla politica. Il Laos continua sulla strada della dittatura ideologica. Il Myanmar vuole lavare l’immagine con esibite tappe democratiche, ma la sostanza resta solidamente dittatoriale. Il Vietnam cerca di attirare investimenti e attenzione mostrando foto di coste fantastiche e di isole da sogno, ma la vita reale resta anonima. E non parliamo della Cina...
Attilio De Battisti
(missionario padovano in Thailandia)