Il microcredito di Etimos adesso "pedala" anche in Veneto
Per Etimos foundation l’individuazione della giusta idea da sostenere con il microcredito (quella del trevigiano Andrea Colussi che oggi produce biciclette da città smontabili) ha coinvolto a più livelli la società civile e ha permesso alla filantropia dei Lions Padova Certosa di costituire un fondo di garanzia del prestito di 50 mila euro. Nella foto il modello Carlotta (credit Roberta De Min).

La ripresa economica può passare anche attraverso nuovi modelli di welfare in grado di superare le difficoltà di acceso al credito di una parte della popolazione e attivare le comunità locali, consentendo al sistema finanziario di operare meglio a favore della microimpresa che caratterizza soprattutto il territorio veneto. È racchiusa qui la nuova iniziativa di Etimos foundation, nata a Padova come consorzio internazionale 25 anni fa e che, dopo i primi positivi interventi di microcredito in Italia per affrontare le emergenze post terremoto in Emilia Romagna e Abruzzo, ha deciso di “ritornare in casa”, finanziando con 20 mila euro (a un tasso d’interesse del 5,16 per cento da restituire in cinque anni) la prima start up in Veneto, grazie al fondo di garanzia di 50 mila euro costituito dai Lions Padova Certosa.
L’idea che ha già trovato la strada per concretizzarsi è quella di Andrea Colussi, cinquantenne trevigiano, per trent’anni nel settore del commercio, tagliato fuori nel 2013 dal mercato del lavoro e con una grande passione per la bicicletta che affonda le radici nella sua infanzia. «È il primo progetto a sostegno di una nuova microimpresa veneta e di una famiglia in difficoltà che finanziamo in Veneto» racconta Marco Santori, presidente di Etimos foundation e amministratore delegato di Microcredito per l’Italia, l’impresa sociale nata qualche anno fa come braccio operativo della fondazione.
L’esperienza ovviamente è interessante, con la speranza che possa dare impulso al microcredito in un’Italia che, al momento, è fanalino di coda tra i paesi europei che utilizzano questo strumento per integrare il tradizionale sistema bancario di finanziamento del credito. Sulla base degli studi effettuati dalla fondazione Zancan, il microcredito in Italia oscilla tra i 73 milioni di euro (dato del rapporto Borgomeo 2009 inclusivo di esperienze eterogenee) e gli 11 milioni (soltanto i programmi che si definiscono “microcredito” e registrati nel 2010 dal rapporto Jayo). Ben poca cosa comunque rispetto ai «152 milioni di erogazioni della Francia e a un mercato europeo che nel suo complesso vale intorno agli 850 milioni di euro» (“Ricevere restituendo” di Maria Bezze, Vincere la povertà con un welfare generativo. La lotta alla povertà. Rapporto 2012, edizioni Il Mulino).
Come avete avviato l’esperienza per individuare la giusta start up da finanziare?
«Abbiamo operato – spiega Santori – attivando servizi ausiliari di ascolto e tutoraggio per lo sviluppo dell’idea iniziale, in stretta connessione con la fondazione Zancan e l’Ucid Padova per sostenere i candidati e indirizzarli eventualmente verso canali istituzionali più adeguati per lo sviluppo della loro impresa. Mi preme sottolineare che potevamo effettuare un’erogazione diretta, invece quello che ci sta a cuore è stimolare il credito con iniziative precise per far funzionare meglio il sistema bancario già esistente, senza inventarci nulla».
Qual è stato il coinvolgimento delle comunità locali?
«Siamo partiti da quattro attivazioni sul territorio. Il primo modello di comunità è stato rappresentato da Etimos, Ucid e fondazione Zancan che hanno svolto circa cento colloqui. La seconda comunità attivata è quella formata dai volontari (tra cui anche molti commercialisti) che hanno contribuito a individuare i progetti da analizzare. La terza comunità è quella dei potenziali beneficiari (i cento colloqui) con cui abbiamo tentato di costruire, in molti casi, percorsi differenti per raggiungere l’obiettivo. Infine, i benefattori – i Lions – che hanno dato corpo con la loro filantropia al fondo di garanzia della start up».
Ma il modello riuscirà a prendere piede sul territorio o rimarrà un caso isolato?
«A breve partiremo con altre due start up proprio a Padova. Il mercato ha bisogno di strumenti ausiliari al sistema bancario tradizionale per affrontare l’esclusione finanziaria generata soprattutto dalla crisi e che interessa principalmente disoccupati ed ex partite iva. Inoltre, una riflessione va fatta anche sulle associazioni di categoria che non sono attrezzate ad accogliere e orientare i “borderline”».
È in questo quadro, dunque, che s’inserisce il microcredito, con l’auspicio che possa affermarsi in un territorio come il Veneto sempre più scollato a livello istituzionale e che necessita, quanto prima, di ritrovare anche la giusta coesione sociale.
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