Il cemento padovano non fa più presa
Dopo Italcementi a Monselice, anche una della aziende di Zillo a Este cessa l’attività. Dopo 130 anni, ecco l’ultimo atto dell’inesorabile declino di un comparto industriale che ha segnato profondamente la vita della Bassa e dei Colli.
L’incertezza sul futuro dei lavoratori dopo la cassa integrazione.
Questa volta bisogna veramente mettere da parte ipocrite reticenze e falsi pudori, perché la storia (anche recente) e le vicende di questi mesi dicono chiaramente una sola cosa: il cemento, nella Bassa e nell’area dei Colli, è finito.
Quello che sta accadendo alle grandi aziende, che per decenni, talora tra mille incomprensioni e contrasti, avevano fatto dell’attività estrattiva e della produzione di materiale una delle iniziative economiche caratterizzanti questa zona del Padovano, indica non soltanto un momento di appannamento e crisi, più o meno momentanea come peraltro sta accadendo in altri settori, ma una vera e propria agonia da fine attività.
Il crollo verticale del mercato
D’altra parte i dati nazionali e non solo non lasciano scampo: nel 2014, secondo il rapporto 2015 dell’Atecap (associazione tecnico economica del calcestruzzo preconfezionato) la domanda di cemento in Italia ha registrato un calo dell’8 per cento rispetto all’anno precedente.
La forte caduta è stata determinata dall’andamento negativo delle costruzioni in tutti i comparti: nel settore residenziale è stato registrato un decremento degli investimenti in nuove abitazioni pari al 10,2 per cento, nel settore dell’edilizia non residenziale un calo del 4,6 e in quello delle opere pubbliche del 5,1.
Il numero complessivo di abitazioni (nuove o ampliamenti) ha raggiunto nel 2013 le 58.000 unità; nel 2005 erano state superate le 300.000. I
l settore delle opere pubbliche è stato poi fiaccato negli ultimi anni dalla politica di austerità adottata nei conti, che ha bloccato gli investimenti per le infrastrutture. In sintesi la produzione del cemento a livello nazionale ha registrato dal 2007 a oggi un cedimento di circa il 60 per cento.
Nulla di nuovo: la crisi che attanaglia anche il settore del cemento parte da lontano, dal 2007.
Nel Nordest in quell’anno le cementerie attive erano 11 (3 tra Este e Monselice); nel 2015 se ne contano 3 e in forte difficoltà, un paio addirittura ferme. Sempre nel 2007 il consumo procapite di cemento nel Triveneto era di circa 1.015 chilogrammi: nel 2015 è sceso a circa 350.
I sindacati: un territorio a rischio desertificazione
In sintesi: si costruisce sempre meno e quindi il mercato del cemento è crollato. Di questo si sono ormai accorti tutti, a cominciare dai lavoratori e dai sindacati; tant’è che il titolo del comunicato con il quale, lo scorso 20 gennaio, le organizzazioni annunciavano un ulteriore passo verso la dismissione del settore era chiaro e palese: “Terminano 130 anni di storia della Bassa padovana”, frase che non ammette equivoci interpretativi, di fronte all’ennesimo episodio negativo legato questa volta, dopo le vicende dell’Italcementi di Monselice, alla Cementizillo di Este.
«Questa mattina – annunciavano i sindacati il 20 gennaio – si è svolto presso Confindustria Padova l'incontro sindacale fra la rsu Cementizillo spa Este, la Fillia Cgil, la Filpa Cisl con la direzione aziendale. In tale occasione la società ha comunicato la propria decisione di avviare tra pochi giorni la procedura di mobilità per chiudere definitivamente il sito produttivo di Este, al termine della cassa integrazione straordinaria al 12 aprile 2016, coinvolgendo 66 lavoratori».
«Questa – aggiungono i sindacati – è l'ultima puntata di un percorso partito con l’accordo sindacale nazionale siglato a Roma nel giugno 2013, che ha portato ad ammortizzatori sociali per circa 34 mesi per 85 lavoratori della Cementizillo. Dopo quel complicato accordo si è riusciti a ricollocare, in questi mesi, circa una ventina di lavoratori tra pensionabili e quelli che hanno trovato una nuova occupazione. Per noi era ed è ancora insufficiente. 130 anni di storia industriale, economica e sociale non possono essere cancellati in questo modo. Con i lavoratori faremo di tutto affinché si dia dignità e futuro al lavoro e speranza alle tante famiglie che hanno partecipato a fare grande questa storia».
Rimane un solo cementificio in attività: per quanto ancora?
Dunque la situazione è chiara. Dei tre cementifici presenti tra Este e Monselice, due sono già stati giustiziati: Italcementi, dopo la travagliata vicenda del revamping, ha azzerato la produzione e la quarantina di lavoratori è in cassa integrazione fino al febbraio del 2017; il cementificio di Zillo ad Este ha annunciato che alla scadenza di aprile, quando i lavoratori non beneficeranno più degli ammortizzatori sociali, arriveranno le lettere di licenziamento; rimane soltanto l’altro cementificio di proprietà Zillo, quello di Monselice, che continua a lavorare occupando una novantina di addetti; ma probabilmente (secondo un parere diffuso) è solo questione di tempo.
Italcementi: cosa faranno i nuovi padroni?
Su questo esito finale vi è un’unica incognita: che cosa faranno i nuovi proprietari di Italcementi?
La scorsa estate, infatti, il controllo del gruppo industriale, che fa capo alla famiglia Pesenti, è stato ceduto per oltre 1,6 miliardi alla tedesca Heidelberg, per «creare il primo gruppo mondiale negli aggregati, il secondo nel cemento e il terzo nel calcestruzzo».
L’accordo prevede l'assegnazione a Italmobiliare dei Pesenti, come parte del corrispettivo di acquisto, di una quota del capitale della nuova HeidelbergCement compresa fra il 4 e il 5,3 per cento (tramite aumento di capitale) che corrisponde a un controvalore tra i 560 e 760 milioni.
Con questa partecipazione azionaria, Italmobiliare – della quale Mediobanca è stata advisor – diverrà il secondo azionista industriale di HeidelbergCement, con un rappresentante all'interno del consiglio di sorveglianza.
HeidelbergCement è una multinazionale che lo scorso anno ha registrato ricavi per 12,6 miliardi, con 44.900 dipendenti in oltre 40 paesi, e capitalizza quasi 14 miliardi alla borsa di Francoforte.
Che cosa faranno questi nuovi proprietari? Al momento non si sa; “voci” di fonte comunale e sindacale dicono che i rappresentanti della multinazionale tedesca prenderanno possesso del nuovo sito a primavera inoltrata; a quel punto si potrà cominciare a intravvedere (ma è solo un’ipotesi) quali saranno le sorti future dell’area di Monselice, mentre per quelle legate alla proprietà Zillo l’incertezza è totale.
Non si tratta quindi di una situazione chiara: tanti dubbi che potrebbero minare anche i tentativi di riconversione e di individuare la destinazione futura di aree e manufatti che, nel bene e nel male, hanno segnato la storia di Este, di Monselice, dei Colli, e che sono ancora patrimonio di questa fetta importante del Padovano.