Revelstoke. Da Solagna al Canada, alla ricerca dell'avo perduto
Martedì 29 a Solagna e mercoledì 30 marzo a Padova la presentazione di Revelstoke, il documentario in cui il regista Nicola Moruzzi racconta il suo viaggio alla scoperta della storia del bisnonno Angelo, morto in Canada. Il giovane autore usa come guida la cinquantina di lettere che l’emigrante ha scritto alla moglie rimasta ad attenderlo al paese.
Si tiene al cinema teatro di Solagna martedì 29 marzo alle ore 20.30 la prima proiezione in Veneto di Revelstoke, un bacio nel vento, documentario di Nicola Moruzzi prodotto da Schicchera Production, progetto entrato in questi giorni nella cinquina del premio Donatello, finalista al premio Solinas e vincitore del premio Unicredit Pavilio al festival internazionale del documentario “Visioni dal mondo” del 2015.
Il ciclo di proiezioni che prevede, dopo Solagna, tre proiezioni al multisala Mpx (mercoledì 30 alle 16.30, alle 18.45 e alle 21) e una a Falcade giovedì 31, è patrocinato dall’ente Vicentini nel mondo, dall'Unione montana Valbrenta e dall’associazione Veneti nel Mondo.
La storia
Quando Angelo Conte, nato a Valstagna nel 1887, decise di partire per “la Merica” nel 1913, la moglie Anna di San Nazario era incinta da pochi mesi della loro prima figlia, Gigetta.
Angelo lavorò in Canada per 30 mesi, scrivendo all’amata cinquanta lettere in cui documentava passo passo la sua faticosa peregrinazione di lavorante alla costruzione della linea ferroviaria Cpr, lunga ottomila chilometri, che attraversa il paese da Est a Ovest.
Il 15 ottobre 1915, mentre stava lavorando in una squadra di tre uomini alla realizzazione del Connaught tunnel, la galleria più lunga d’America, il giorno dopo aver scritto alla moglie l’ennesima lettera in cui le anticipa la decisione di tornare a casa con i soldi che aveva guadagnato, pochi ma sufficienti per non considerare fallita la sua avventura, è vittima di un incidente sul lavoro e poco dopo muore tragicamente.
Viene sepolto nel cimitero di Revelstoke dal fratello Sante, che fa fare per lui una croce di cemento armato da un altro italiano, tal Marchesan. Ma nessuno dei familiari in questo secolo era riuscito mai a porre un fiore su quella tomba, fino a quando il pronipote Nicola Moruzzi, giovane romano regista di documentari, non decide di andare in Canada sulle tracce del bisnonno.
Allora gli viene consegnato questo piccolo “tesoro di famiglia” di cinquanta lettere chiuse in un cassetto che la figlia Gigetta, la nonna di Nicola, non aveva mai voluto leggere per non violare l’intimità dei genitori, e il suo viaggio il Canada diventa qualcosa di più di un omaggio alla tomba di uno dei 29 milioni di emigranti italiani che da fine Ottocento sono andati a cercare fortuna, con fortune alterne, lontano da casa.
«Con queste lettere in mano – racconta Nicola Moruzzi – che rappresentano nel loro insieme una vera epopea dell’emigrazione italiana, sono andato sulle tracce del mio bisnonno seguendo passo passo gli indirizzi da cui venivano inviate: Vancouver, Kamloops, Revelstoke, Glacier, Victoria... E in questo viaggio nel Canada occidentale la memoria personale, familiare è diventata memoria di paese, collettiva nel documentario Revelstoke. Un bacio nel vento. Il desiderio utipico di riportare Angelo da sua moglie e sua figlia è diventato necessità di descrivere il coraggio collettivo di tante persone. Il passato si è riversato nel presente e gli ha dato colore, prospettiva, sostanza. Oggi non siamo più abituati a concepire le grandi distanze, i grandi distacchi che amplificano i sentimenti nelle lunghe pause tra una parola e l’altra».
«Io e Irene, la mia compagna di vita e di lavoro – spiega ancora il regista e autore – siamo stati un mese in Canada a caccia di archivi privati e pubblici, ma anche di incontri con persone di oggi, vive. Dai giovani emigrati italiani che vivono a Vancouver e insieme ai quali abbiamo cercato di capire come è cambiata l’emigrazione dai tempi del mio bisnonno alla famiglia Barazzuol, di origini venete, che ormai vive qui da generazioni. È stata questa una delle migliori scoperte del nostro viaggio. Il primo archivista canadese con cui abbiamo parlato è riuscito a capire qual era la casa in cui visse Angelo Conte a Vancouver e ha anche rintracciato il proprietario della casa, un certo “Barasuola”. Quando eravamo ormai alla fine del documentario, mi ha telefonato annunciandomi di aver rintracciato i discendenti della persona che viveva con il bisnonno, e che vogliono incontrarmi. È stato un magnifico incontro nello splendido parco di Vancouver con una famiglia numerosa che ci racconta dei primi immigrati, ci fa vedere una pergamena lunghissima con tutti gli antenati e ci fa capire come la lontananza non faccia che alimentare la forza dei sentimenti. Così il finale del documentario, che poteva essere la triste fine di una storia d’amore, diventa di speranza nel cogliere come si propaga il filo che unisce le generazioni».
Il filmato che ne è uscito raccoglie anzitutto gli scenari e le suggestioni del viaggio in Canada, composto da tre grandi ambienti antropici e naturali: la megalopoli di Vancouver, con i suoi grattacieli e la sua elevata qualità di vita; le montagne e i laghi della British Columbia che sono posti in contiguità con le Montagne Rocciose e assomigliano ai paesaggi che siamo abituati ad associare al Canada. Ma c’è anche il deserto di Carcross, un paesaggio lunare assolutamente imprevedibile, dove regna il coyote e dove Angelo Conte ha vissuto più di un anno.
Queste immagini sono state montate nel documentario insieme a materiali girati in Veneto, a Mestre, a Valstagna, a Roma, ma anche con immagini del passato. Revelstoke si apre con i filmati originali dell’istituto Luce in cui si racconta visivamente l’emigrazione italiana, con le valige di cartone e i cognomi scritti sopra.
E si chiude con dei frammenti di famiglia girati in superotto che descrivono le Dolomiti venete, così vicine al luogo di nascita di Angelo e Anna, così simili alle montagne dove ora riposa.