Premio Galileo 2016. La cinquina in tre parole

Un “dizionario” di termini chiave per invogliare la curiosità nei confronti dei cinque finalisti del decimo premio Galileo per la divulgazione scientifica tra cui verrà scelto, venerdì 6 maggio in Salone a Padova, il vincitore assoluto. Il voto finale è affidato come di consueto a una giuria composta dai ragazzi di quarta superiore di tutte le province italiane

 Premio Galileo 2016. La cinquina in tre parole

Si può raccontare un saggio di scienze, anche se di “divulgazione scientifica”, in tre parole?

No, naturalmente, altrimenti a cosa servirebbe affrontare la fatica (e il piacere) di leggere le cento e più pagine di cui sono composti i saggi che la giuria di esperti ha scelto per comporre la cinquina dei finalisti del premio Galileo 2016!

E a cosa sarebbe servita la fatica (e il piacere) della grande giuria di ragazzi di quarta superiore appartenenti a tutte le province d’Italia che si è affaccendata sulla predetta cinquina per misurare l’appeal che gli scrittori, tutti esperti della materia prescelta, hanno saputo dare alla loro trattazione in modo da convincere anche le generazioni più inquiete a soffermarsi sulle pagine. E magari, almeno un po’, aprire una breccia di curiosità in spiriti che saranno presto chiamati a scegliere in che modo spendere la loro vita professionale.Il loro piccolo o grande contributo al progresso della conoscenza umana, alla capacità dell’umanità di superare le enormi sfide che le stanno di fronte.

Tre parole però, questa è la scommessa di questo servizio, possono servire per dare un’idea dell’argomento, degli argomenti trattati, e stimolare la curiosità per seguire con interesse la premiazione finale, prevista per venerdì 6 maggio. a partire dalle ore 16, in Salone.

Paolo Gallina, L'anima delle macchine: zattere, realtà viltuale e tecnodestino

Paolo Gallina, laureato e dottorato a Padova, alla scuola di Aldo Rossi, nel suo libro L’anima delle macchine fa comprendere quali sono i meccanismi di interazione tra l’uomo, il suo mondo interiore, e i “robot” che egli crea.

Zattera La nostra “zattera” personale è quello spazio dove poniamo ciò a cui teniamo veramente nella vita e il cui baricentro è occupato dalle persone a noi più care, salvandole dall’oceano più o meno esteso della quotidiana indifferenza che ognuno di noi ha per tutto il resto. Potrebbero le macchine riuscire a diventare abbastanza speciali da persuaderci a farle entrare nella nostra zattera personale? Cosa può dare lo status di essere vivente a una macchina? Queste intriganti domande portano l’autore a riflettere sulle caratteristiche che deve avere una macchina per entrare nella nostra cerchia affettiva e di come alcune di esse (dal Tamagotchi al pelouche robotico) siano già entrate tra i nostri affetti, seppur fugacemente. Prima di provare a ritrovare la qualità di vivente in una macchina, si cerca di capire come l’uomo riconosce questa scintilla vitale. Per fare questo, è necessario entrare nell’animo umano, per comprendere dove è nascosta e in cosa si manifesta questa peculiarità. Partendo da una delle sensazioni chiave che caratterizzano l’essere vivente, il dolore, si cerca di capire la sua essenza e quanto la sua esternazione, anche se proveniente da una macchina che lo simula senza effettivamente provarlo, sia centrale nella nostra definizione di essere vivente. La mimesi del dolore, unita alla predisposizione dell’uomo a umanizzare un oggetto inanimato con specifiche caratteristiche (funzione che prende il nome di antropofiltro), fa scattare un senso di vicinanza a quello che assume le connotazioni di un essere vivente a tutti gli effetti.

Realtà virtuale Anche se la parola è tornata di moda grazie alle ultime trovate tecnologiche, il viaggio in realtà parallele per evadere dalla realtà, è raggiungibile da sempre semplicemente chiudendo gli occhi e immaginando luoghi e persone più o meno slegate dalla realtà. L’autore individua i rudimenti della realtà virtuale e alcuni dei suoi usi, constatando che la capacità di entrare in mondi virtuali varia nelle diverse culture e lungo la scala temporale. Ma quanto siamo propensi a farci ammaliare da un mondo artificiale? Chi è più propenso a fare questo tuffo e perché? Da cosa sono dettati i nostri comportamenti al suo interno? Il testo porta svariati esempi di viaggi virtuali cercando delle risposte e constatando quanto per molti questa sia un’esperienza quotidiana.

Tecnodestino Un’affermazione si evince senza difficoltà dalla lettura del libro: abbiamo bisogno delle macchine e della tecnologia. Dalle calcolatrici ai robot per la neuroriabilitazione, il processo evolutivo dell’uomo e delle macchine sono sempre andati di pari passo. Più il tempo progredisce più l’essere umano cede le proprie funzioni a varie protesi artificiali, scaricando su di esse alcuni compiti infatti è possibile farne di nuovi e più complessi, in un processo definito dall’autore di fossilizzazione cognitiva. Quando è iniziato e quanto ne siamo consapevoli? Quanto riusciamo a fidarci di queste tecnologie? Quanto influenza lo sviluppo del nostro cervello l’abbandono a una protesi esterna di alcuni processi mentali prima indispensabili per l’uomo? Senza condannare né esaltare questa consegna di funzioni a una componente artificiale esterna da sé, il saggio fa prendere coscienza di quanto questo appoggiarsi a sostegni creati dall’uomo sia in atto nella storia in modo costante e ineluttabile.

Till Roenneberg, Che ora fai?: Storie, bio-orologi, cronotipi

Till Roenneberg è un cronobiologo tedesco che, con il saggio Che ora fai?, vuole dimostrare quanto siano soggettivi i ritmi temporali della nostra vita e quanto sia importanti sincronizzarli con lo stile di vita per restare in salute.

Storie Il libro si divide (non a caso) in 24 capitoli e in ognuno di essi dedica la prima parte a una storia. In queste i dati reali e le ricerche scientifiche vengono conditi con episodi esemplificativi più o meno romanzati e di fantasia. Partendo da spaccati di vita quotidiana di famiglie comuni, passando per abitudini di uomini delle caverne e scoperte di scienziati di varie epoche, vengono dipinti quadri suggestivi ed esplicativi del ruolo che ha rivestito e riveste tuttora questo aspetto poco conosciuto e sottovalutato del vivere umano: la presenza di un meccanismo intrinseco che scandisce le nostre giornate interne regolando i processi biochimici e modificando di conseguenza la risposta agli stimoli dell’ambiente esterno. I racconti servono a immergere il lettore in realtà ed epoche diverse, a immedesimarsi in situazioni quotidiane e a far comprendere in modo immediato i vari ruoli che gli orologi biologici hanno avuto nella storia e che hanno ancora, raccontando come siano stati scoperti e come la loro conoscenza si sia affinata nel tempo.

Orologi biologici Si passa quindi a una trattazione più rigorosa, ma mai ostica, del fenomeno preso in esame. Viene spiegato perché una signora si alza alcune mattine sentendosi ancora troppo stanca, mentre altri giorni si sveglia alla stessa ora senza problemi, o cosa un curioso astronomo del Settecento avesse capito con le sue misurazioni anticipando di secoli le scoperte future, arrivando anche ad azzardare quali precauzioni prendere se saremo costretti ad abitare in altri pianeti. Aiutandosi spesso con grafici, l’autore fa capire le basi del tempo biologico e come questo scandisca la nostra vita in modo diverso per ciascun individuo e in modo incostante nel tempo. Stimolati anche a fare considerazioni personali e a ragionare su ciò che viene spiegato, ci si rende conto di come solo in rari casi il proprio tempo interno sia perfettamente sincronizzato con quello esterno, ma che il più delle volte questo debba scendere a compromessi adottando delle strategie adeguate.

Cronotipi Uno degli scopi principali che il testo si prefigge è far percepire a ciascuno il suo tempo interiore, aiutandolo a comprendere quello di chi ci sta intorno. Questo meccanismo interno che scandisce i nostri ritmi e varia molto a seconda della fase della vita è essenziale. Proprio per questo, l’autore ha un occhio di riguardo per il cronotipo tipico dell’adolescenza, generalmente più attivo nelle ore serali e notturne, che può portare a disturbi e difficoltà nell’apprendimento durante le prime ore della mattina. Si tenta dunque di far capire che alcune delle convinzioni sugli altri individui e sulle loro abitudini sono spesso fondate su preconcetti slegati dalla verità biologica. Non per tutti “il mattino ha l’oro in bocca”, e lo svegliarsi tardi non è necessariamente un segno che marchia una persona come svogliata e scansafatiche, ma il frutto di un cronotipo predisposto a maggiore attività nelle ore tarde, che culturalmente non è visto di buon occhio dalla società. È un preconcetto sicuramente dotato di una sua validità in un ambiente rurale in cui è vitale approfittare di ogni singola ora di luce, ma che, inquadrato in una visione complessiva della varietà dei cronotipi umani, risulta inadatto ad accogliere le potenzialità delle tante diversità di tempi interni che caratterizzano i diversi individui e le varie fasi di crescita di ciascun individuo.

Lucia Votano, Il fantasma dell'universo: modello standard, universo, rivelatori

Lucia Votano è stata direttore del laboratorio sotterraneo del Gran Sasso, la più grande e più importante infrastruttura di questo tipo al mondo, che contribuisce a rendere la fisica italiana competitiva a livello internazionale. Nel suo saggio Il fantasma dell’universo. Che cos’è in neutrino il discorso scivola spesso dalla fisica delle particelle a quella dell’universo, dalle teorie matematiche ai grandi esperimenti che si stanno svolgendo a livello internazionale sotto terra, nelle profondità oceaniche, nei ghiacci polari. Un dialogo continuo, fitto di domande ancora senza risposta.

Modello standard “Confidenzialmente” chiamato Ms, è il nome della teoria introdotta negli anni Settanta che costituisce la base della fisica moderna e ben descrive il micromondo delle particelle subnucleari basandosi sui pilastri della meccanica quantistica e della relatività. Un concetto base di questa teoria è la distinzione tra particelle di materia e particelle di campo, che “portano” o mediano le forze. I tre tipi di neutrini appartengono alla prima categoria. Essi sono numerosissimi nell’universo e hanno una massa, seppur piccolissima, però sono gli unici, tra le 12 particelle di materia, a non essere soggetti alla forza elettromagnetica, ma solo all’interazione debole.

Universo Esistono un grande numero di fonti di neutrini. Provengono dalla profondità della Terra, dai raggi cosmici, dal Sole e dalle supernove, che sono stelle collassate. Anche il corpo umano emette cinquemila neutrini al secondo, ma sono ben pochi rispetto i sessanta miliardi che provengono dal sole e che raggiungono la terra in meno di dieci minuti, mentre i fotoni restano imprigionati all’interno del nucleo per decine e centinaia di anni. Ci sono quindi i neutrini che hanno la stessa età dell’universo, 14 miliardi di anni, e che costituiscono il fondo cosmico di neutrini. Alcune stime suggeriscono che ci sono 330 neutrini per centimetro cubo in tutto l’universo, il che li mette ai vertici delle particelle più numerose, assieme ai fotoni. Per il momento nessun apparato sperimentale è in grado di misurarli, ma se fosse possibile potremmo avere informazioni nuove e fondamentali su quanto è avvenuto in istanti molto antecedenti ai 380 mila anni della formazione della radiazione cosmica.

Rilevatori Il problema fondamentale per lo studio dei neutrini è la difficoltà del loro rilevamento, a causa del bassissimo grado di interazione. Per rilevare i neutrini astrofisici occorrono rilevatori che abbiano volumi di un chilometro cubo e che quindi vengono collocati nelle profondità del ghiaccio artico oppure nelle profondità marine. Il progetto IceCube è un immenso telescopio per neutrini che misura e registra i deboli lampi di luce emessi dalle particelle secondarie create dall’interazione dei neutrini con la coltre di ghiaccio dell’Antartide. Il progetto KM3NeT prevede invece una rete di sensori sparsi lungo chilometri cubi di mare Mediterraneo costituiti da stringhe verticali a cui saranno appese delle sfere di vetro resistenti alla pressione dell’acqua al cui interno sono collocati dei fotomoltiplicatori che catturano i deboli lampi di luce prodotti dal passaggio e dall’interazione dei neutrini. Per lo studio dei neutrini possono poi essere usate sorgenti artificiali come i reattori nucleari e gli acceleratori di particelle. Tra questi ultimi c’è l’acceleratore del Cern che produce un fascio di neutrini inviati verso il laboratorio del Gran Sasso distante 730 chilometri. Qui l’esperimento Opera è stato in grado di dare dimostrazione diretta dell’oscillazione di neutrino, e di conseguenza del fatto che i neutrini non hanno massa nulla. Il che ha dimostrato l’importanza dei laboratori sotterranei per studiare uno dei mattoni fondamentali del mondo.

Umberto Bottazzini, Numeri: incommensurabili, immaginari, reali

Umberto Bottazzini, ordinario di storia della matematica all’università di Milano, in Numeri racconta la storia di questi oggetti “misteriosi” partendo da migliaia di anni fa, dalla civiltà babilonese, da quella egiziana, cinese, inca e maya. E dagli indiani i quali hanno inventato il sistema di notazione decimale posizionale che utilizza anche un simbolo per il nulla e costituisce la base della nostra matematica. A dire il vero la storia dei numeri inizia ancora prima, dalle capacità degli animali di contare utilizzando una specie di “accumulatore numerico” mentale che potrebbe essere anche alla base del meccanismo neuronale umano. A questo punto la trattazione di Bottazzini s’inoltra in temi ancora più affascinanti che fanno capire come la matematica sia tutt’altro che una materia senza fantasia e senza legami con la cultura e l’arte, oltre che con la scienza di cui è strumento indispensabile.

Incommensurabili Già Pitagora e i pitagorici, che crearono varie successioni numeriche unite dall’idea della similarità, si scontrarono con la scoperta di grandezze che non hanno rapporto (logos) tra di loro e quindi sono tra loro incommensurabili (alogos), come le diagonali e i lati del pentagono regolare o del quadrato. Con questa scoperta l’infinito irrompe nella matematica sconvolgendo l’armonia numerica del mondo come era concepita a quel tempo. «Una scoperta – racconta Bottazzini – che i membri della confraternita non dovevano divulgare. Ciò che al contrario fece Ippaso, contravvenendo alle prescrizioni di Pitagora e, come narra la leggenda, morto a causa della sua empietà in un naufragio».

Immaginari Nel Cinquecento la matematica varca le “colonne d’Ercole” della scienza degli antichi trovando la formula risolutiva delle equazioni di terzo grado, divulgata dall’Ars magna di Girolamo Cardano. Un personaggio, quest’ultimo, quanto mai affascinante e controverso, dotato di qualità non comuni: dopo una giovinezza segnata dagli studi e da una sfrenata passione per gli scacchi e il gioco d’azzardo, divenne medico di fama, esperto di magia naturale, interprete di sogni e facitore di oroscopi. La formula da lui pubblicata l’aveva ottenuta, con la promessa di non divulgarla, da Niccolò Tartaglia, «un matematico autodidatta che a Venezia si guadagna da vivere facendo il consulente dei mastri carpentieri dell’arsenale e vendendo le proprie scoperte matematiche e invenzioni balistiche a naviganti, artiglieri e “schiopetari” che affollano la capitale della Serenissima». L’Ars magna introduce le potenze e la regola dei segni, con i numeri negativi “falsi” o “fittizi” (che pure erano già noti in antichi testi indiani). Ma in questo modo appaiono le radici quadrate di numeri negativi che resteranno irrisolte fino all’opera di Rafael Bombacci e che saranno meglio indicate da Cartesio con la denominazione di numeri immaginari, perché opposti a quantità reali.

Reali Nell’Ottocento Richard Dedekind, cercando di dare un fondamento rigoroso all’idea di continuità, creò il dominio dei numeri reali definiti da sezioni a ciascuna delle quali corrisponde un solo numero, razionale o irrazionale. Cercando una risposta a cosa sono i numeri, Dedekind ritiene che essi siano «libere creazioni del pensiero umano» di cui il matematico studia le proprietà. La scienza dei numeri è una parte della logica e si basa sulla capacità della mente umana di «mettere in relazione un oggetto con un oggetto», senza la quale, egli dice, «nessun pensiero è in generale possibile».

Dario Bressanini e Beatrice Mautino, Contro natura: gluten-free, ogm, biodiversità

Dario Bressanini , chimico e docente universitario, è noto soprattutto per la rubrica mensile della rivista Le Scienze, intitolata “Scienza in cucina”. Insieme alla biotecnologa e giornalista Beatrice Mautino in Contro natura cerca di chiarire alcune delle idee ricorrenti riguardo all’alimentazione “naturale”, alle manipolazioni genetiche, alla sensibilità al glutine...

Glutine-free Le farine del frumento sono composte per la maggior parte da amido e proteine, principalmente glutenina e gliadina che, a contatto con l’acqua e per l’azione meccanica, si legano tra loro formando un complesso proteico chiamato glutine. Nell’Ottocento, spiega il volume, Giovanni Buitoni presentò sul mercato una innovativa “pastina glutinata” per diete particolari che conteneva fino al 30 per cento di glutine in più consigliandone l’uso per bambini, lavoratori e anziani. Oggi, al contrario, il glutine è diventato una specie di veleno non solo per i celiaci, affetti da una malattia genetica che oggettivamente ne preclude loro l’assunzione, ma anche per una presunta “sensibilità al glutine” che non è affatto documentata scientificamente. Su internet si trovano numerosi articoli che associano il consumo dei “grani moderni” all’aumento dei casi di celiachia e di sensibilità al glutine. Gli autori fanno anzitutto presente che di “grani moderni” ce ne sono di molti tipi e che le varietà oggi prodotte e consumate in Italia sono state introdotte a partire dagli anni Trenta, quando Nazareno Strampelli diffuse nel nostro paese una varietà di frumento nano giapponese resistente all’allettamento e a maturazione precoce. Negli anni Settanta fu introdotto il grano duro Creso, che ha raddoppiato la produzione italiana a parità di superficie coltivata. D’altra parte, quando si parla di tornare ai “grani antichi” non si tiene conto che il grano tenero nato 85 mila anni fa, ha al suo interno i geni di un’altra specie e non esiste allo stato selvatico, la sua genesi è frutto dell’intervento umano che ne ha plasmato il genoma nel corso dei millenni per renderlo migliore. D’altra parte anche le carote cinquemila anni fa erano viola o gialle, non arancioni...

Ogm L’individuazione degli Ogm non è affatto facile. Secondo la direttiva europea 2001/18/CE è Ogm «un organismo, diverso da un essere umano, il cui materiale genetico è stato modificato in modo diverso da quanto avviene in natura con l’accoppiamento e/o la ricombinazione genetica naturale». Ma poi le tecniche permesse o vietate si prestano a molti distinguo, sostanzialmente arbitrari. Secondo gli autori sarebbe più razionale e sistematico affrontare la regolamentazione di piante con caratteristiche “innovative” una per una, valutando caso per caso queste caratteristiche. L’ingegneria genetica che permette di tagliare, trasferire e ricucire pezzi di Dna anche tra organismi diversi genera grandi paure. Ma offrirebbe anche armi efficaci contro nemici potenti e in continua mutazione come la ruggine nera del grano.

Biodiversità Il melo è un albero che cresce nelle zone temperate. I nostri avi coglievano e mangiavano le piccole e acide mele selvatiche delle nostre trenta varietà, prima della comparsa quattromila anni fa dal Vicino Oriente del melo domestico, discendente da un melo selvatico asiatico. La varietà genetica del melo, la sua biodiversità è molto alta perché la pianta non è in grado di autoimpollinarsi, come il pesco, ma deve ricevere il polline da un’altra pianta. Ad una elevata biodiversità genetica (20 mila varietà) corrisponde però una bassa biodiversità agricola, o agrobiodiversità, perché commercialmente le specie coltivate e addirittura le varietà all’interno di una stessa specie gradite dal consumatore moderno sono poche. Occorre quindi distinguere la protezione della biodiversità, che si ottiene per la maggior parte dei casi nei vivai, nelle banche geniche e negli istituti specializzati (ma anche difendendo gli ambienti naturali), dalle strategie di mercato.

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