Pellegrini in Marocco con casa Madonnina. Alla scoperta del deserto, e di sé stessi
41 persone, di cui 6 sacerdoti, con un'età fra i 30 e i 75 anni e esperienze e vissuti diversi, hanno partecipato al pellegrinaggio in Marocco organizzato da Casa Madonnina in collaborazione con la diocesi di Padova dal 15 al 24 settembre.
Conoscere il Marocco dal punto di vista storico, paesaggistico, naturalistico e cristiano: questo era uno degli obiettivi del pellegrinaggio.
Vivere l'esperienza del deserto fisicamente e concretamente, incontrare le comunità cristiane presenti e fratel Jean Pierre, unico padre trappista sopravvissuto alla strage dei monaci a Thiberine in Algeria: questi alcuni dei momenti forti.
Ma può un viaggio trasformarsi in pellegrinaggio?
«Al rientro – riflette il vicario generale mons. Paolo Doni, uno dei partecipanti – mi accorgo che la domanda si risolve in base all'atteggiamento interiore. Il carattere religioso non è dato, almeno in maniera prioritaria, né dalla visita ai luoghi sacri, né dalle preghiere o celebrazioni. È dato, in primo luogo, dall’atteggiamento di ricerca, di ascolto del Dio della creazione e della storia di salvezza; dall’ascolto degli uomini, della storia e della cultura di un popolo. È di questo tipo l’esperienza che abbiamo potuto fare: guidati dalla parola di Dio con la biblista Antonella Anghinoni e dalle testimonianze di chiesa in un paese totalmente musulmano. Non è certo un viaggio di pochi giorni che può dare risposte a questioni complesse; ma fa bene vedere e toccare con mano questioni che non sono poi così lontane dal nostro vissuto di credenti e di cittadini del mondo».
Una coppia, Leda e Ugo Prevedello, ha scelto questa esperienza per festeggiare 40 anni di matrimonio: « è stato un viaggio ricco di storia, arte, cultura e spiritualità – sottolineano – L'incontro con fratel Jenne Pierre, 93 anni, è stato molto commovente. Ci ha raccontato che la comunità era stata invitata a lasciare il paese perché pericoloso, ma gli abitanti del villaggio dissero: “voi siete i rami dell’albero e noi gli uccellini. Se ve ne andate dove ci appoggeremo?”. Decisero di rimanere consapevoli dei rischi. Ci portiamo dentro tante immagini, arricchiti soprattutto dal punto di vista spirituale».
«Uno scrittore marocchino, Tahar Ben Jelloun – ricorda Paola Ellero, insegnante – dice che il Marocco non si lascia prendere di fronte: la sua luce è abbacinante, il suo spirito si irradia, fa smarrire il viaggiatore. Bisogna cercare di avvicinarlo di sbieco. Questo modo di viaggiare è stata per me un’esperienza formativa, unica e intensa, di cui conserverò non solo immagini, odori, suoni, colori, ma anche parole, pensieri, riflessioni sul nostro essere donne e uomini “in cammino”».
Fra i partecipanti anche due consuocere, Manuela Covin e Simonetta Giustozzi. La prima racconta di aver intrapreso il viaggio per sentirsi più vicina a Dio: «ed è proprio avvenuto! – afferma entusiasta – La natura maestosa e desolata, alternata a una rigogliosa vegetazione e ad acque limpide, i ritmi lenti e silenziosi hanno fatto in modo che potessimo ascoltare di più e meglio la voce di Dio. Il cammino faticoso nel deserto mi ha accomunato, anche se per poco, a chi da tempo è in cammino, dolorosamente. L'incontro con chi vive la fede silenziosamente e con coraggio, ha ridimensionato molte inutili ansie». La seconda invece, dopo le prime titubanze, ammette che il viaggio è stata una vera scoperta: «di compagni di viaggio in cammino, di una spiritualità non invadente, ma presente, di un paese accogliente e molto bello».
«Un'esperienza unica – conclude Marzia Filippetto, accompagnatrice e collaboratrice apostolica –che il Signore ha ispirato e protetto. Quello che abbiamo vissuto è un conforto che ci dovrebbe spingere a preoccuparci meno di certi aspetti della vita quotidiana».