Nel vicariato di Lusiana, la sfida comunicativa è arrivare a tutti in un'area scollegata
Giovani e ragazzi faticano a incontrarsi perché vivono e frequentano realtà distanti, dalle scuole alle palestre. È faticoso dunque condividere esperienze quotidiane e il proprio tempo libero. La soluzione? Aumentare le occasioni d’incontro in presenza.
C’è una distanza che i social non possono coprire del tutto: è quella relazionale. La conferma viene dalla ricerca Sonar, l’indagine esplorativa sulla comunicazione nella diocesi di Padova voluta dall’ufficio per la pastorale della comunicazione e affidata per lo studio scientifico all’Osservatorio socioreligioso del Triveneto.
«La presentazione ufficiale dei primi dati non è stata ancora affrontata in vicariato – spiega Luca Lovison, coordinatore per la comunicazione del vicariato di Lusiana – ma molte parrocchie e alcuni laici me ne hanno già chiesto riscontro e ne sono stati informati. Diciamo che è stata una “avventura” che ci ha visti tutti protagonisti: chi, come me, nel ruolo dell’intervistatore; chi nel ruolo dell’intervistato. E ho colto in questo lavoro davvero una grande disponibilità da parte di tutti».
La difficoltà maggiore riscontrata ed emersa da quest’indagine: arrivare a tutti e trovare gli strumenti adatti per poterlo fare. «In termini di comunicazione lo strumento che sembra essere più efficace resta il bollettino parrocchiale. Però davvero si fa fatica a suscitare interesse e a far passare un messaggio».
A questa difficoltà di “trasmissione” si affianca (e forse ne è anche origine) la difficoltà “territoriale”. «Penso ad esempio ai ragazzi e ai giovani – aggiunge Lovison – Vivono in realtà varie e molto distanti anche come localizzazione geografica e non condividendo luoghi di vita, come scuola o palestre, non hanno mai occasione di incontrarsi e condividere tempo ed esperienze. Quindi la distanza aumenta e l’integrazione risulta davvero difficile. Come pure anche solo la comunicazione via whatsapp».
Don Marco Sanavio, direttore dell’ufficio diocesano per la pastorale della comunicazionie concorda su questa prospettiva. «Non dobbiamo necessariamente implementare la comunicazione social, perché sembra più moderna. La ricerca Sonar ci stimola a lavorare su piani diversi e con una serie di strumenti, che prevedono anche incontri in presenza combinati assieme. Non siamo ammalati di web: certo, sono strumenti potenti ma bisogna vedere dove, in che ambito e in che contesto, anche locale, si innestano. Il lavoro da fare in realtà con il vicariato di Lusiana potrebbe essere quello di attuare incontri in presenza, continuando un percorso già avviato in questo senso».
Fondamentale quindi l’ascolto della zona pastorale dove si è collocati. E non solo a Lusiana. «Assieme a don Francesco Longhin, il vicario foraneo – sottolinea don Sanavio – abbiamo analizzato l’esperienza fatta a Lusiana. Ci dice che come chiesa dobbiamo ascoltare i limiti che “dettano” le zone geografiche, in termini di disponibilità, di coinvolgimento a livello di volontariato; dobbiamo imparare a capire anche le modalità con cui le persone si informano, a partire dalla cronaca locale. Tutto ciò messo insieme va nel conto di una comunicazione che dev’essere sempre più reticolare e sempre meno piramidale. Abbiamo rilevato da Sonar che la frontiera sulla quale impegnarci non è tanto far giungere informazioni, ma condividere significati e non necessariamente sono quelli che vanno dal centro alla periferia, anzi. Ascoltare i coordinatori per noi come ufficio vuol dire proprio mettersi in ascolto della periferia».
Questo a maggior ragione visto il ruolo davvero importante che svolgono: «Mi piace pensarmi e anche “attuarmi” – afferma Lovison – soprattutto come una figura di tramite tra il locale e la diocesi, perché si accorci sempre più quella distanza imposta dai limiti geografici. Sarà mio compito anche stimolare e sensibilizzare a pensare nuovi strumenti di comunicazione».