È nato il consiglio delle chiese cristiane di Padova
«È stato un momento di Pentecoste». Così, don Giovanni Brusegan, definisce la nascita – avvenuta il 25 maggio nella cappella universitaria San Massimo – del Consiglio delle chiese cristiane di Padova. Ne fanno parte le seguenti chiese, ma è previsto che si allarghi: cattolica romana, luterana, metodista, ortodossa romena e l’arcidiocesi ortodossa di Italia e Malta.
«Non è stato un atto formale». Lo ripete più volte, don Giovanni Brusegan, delegato diocesano per l’ecumenismo e dialogo interreligioso. La nascita del Consiglio delle chiese cristiane di Padova è frutto di un lungo cammino ecumenico nel quale don Giovanni, personalmente, si è impegnato «perché crescesse l’abitudine alla fraternità, la nostalgia del trovarsi, del lavorare insieme... l’impegno a entrare dentro, come chiese cristiane, alle situazioni e alle sfide con una testimonianza sintonizzata».
E così, giovedì 25 maggio nella cappella universitaria San Massimo, è stato firmato lo statuto di nascita del consiglio da parte di don Giovanni Brusegan (chiesa cattolica romana, diocesi di Padova), pastore Bernd Prigge (chiesa evangelica luterana Venezia-Abano Terme), pastora Ulrike Jourdan (chiesa evangelica metodista, Padova), archimandrita Evangelos Yftandis (arcidiocesi ortodossa d’Italia e di Malta), padre Liviu Verzea (chiesa ortodossa romena, Padova).
«Da molti anni se ne auspicava la costituzione – continua don Brusegan – ma forse i tempi non erano maturi, anche perché sono cambiati i pastori, quindi i rappresentanti delle chiese. È cambiata la stessa situazione sociale, politica e culturale del mondo. Da un Vaticano II che aveva ispirato un direttorio, dalle note della Cei e dalla Carta oecumenica che prospettavano un’organizzazione nazionale e locale dei servizi all’ecumenismo, si è passati a una frantumazione individualistica che si è riflessa nelle chiese. Tutto il discorso, poi, relativo al terrorismo fondamentalista dovuto a motivi religiosi ha portato le religioni a fare da capro espiatorio, con l’affermazione rivendicativa pesante delle identità divisorie più che relazionali. Questo si è riflettuto anche a Padova e, rispetto ad altre diocesi (Venezia, Milano, Bari), abbiamo pazientato per costituire non un organismo formale, ma che esprimesse una comunione effettiva dovuta a conoscenza reciproca, stima, fraternità».
Lo statuto si apre dichiarando l’unica fede professata dalle chiese cristiane aderenti «nel Dio Trinità, Padre e Figlio e Spirito Santo. Credono che Gesù Cristo è Colui che ci è stato inviato da Dio Padre, Suo Figlio e nostro Salvatore, e per questo cercano di testimoniare insieme il vangelo. Esse fanno riferimento alla Rivelazione testimoniata dalla bibbia, che comprende Antico e Nuovo Testamento, quindi sia la parte riconosciuta dall’ebraismo sia quella, più recente (...) su cui si fonda in particolare il messaggio cristiano».
Il consiglio nasce proprio ora «perché siamo maturati. Perché sono aumentate le sfide, di numero e intensità. Perché ogni chiesa si trova giudicata dalla parola di Dio: “Che tutti siano uno perché il mondo creda”. Ma anche perché fuori della chiesa è necessaria una testimonianza rispetto alle letture colpevolizzanti le religioni, marginalizzanti le chiese. Nello stesso tempo per la diminuzione di fervore ecumenico dentro le nostre chiese, quale segno di una diminuzione della febbre dell’amore, della fraternità, dello stile diverso di coniugare unità e pluralità, nuovo e vecchio, altro e noi»
Il cammino che ha portato alla nascita del consiglio è puntellato di tanti incontri fatti di preghiera, confronto, scambio e... pasti condivisi. «Questi aspetti ci hanno educato a stare insieme, a scoprirne la gioia. Si è creata armonia. Mi piacerebbe che la gente potesse respirare il bene che ci vogliamo. Questo ha permesso di dare vita a uno statuto con finalità più “nostre” come, ad esempio, il “promuovere rapporti con la comunità ebraica”, che dice attenzione alle radici comuni. C’è poi “favorire il dialogo interreligioso in ordine alla pace e al bene comune”: abbiamo voluto sottolineare questi due valori fortemente a rischio oggi. Altra finalità è “promuovere l’integrazione contro ogni forma di razzismo e discriminazione” dove l’accento è sul “promuovere”, perché il mondo è cambiato».
Dentro a questo organismo ognuno è consapevole delle diverse identità dogmatiche, dottrinali e pastorali e delle divisioni che «ancora ci fanno soffrire. Ma ci poniamo sul fronte della credibilità dell’ecumenismo, del suo valore in un momento in cui tutto dice divisione e paura. Vogliamo incoraggiare la relazione, la stima dell’altro, la fraternità. Ma soprattutto è un’educazione a lavorare più insieme».
La firma dello statuto «è stata un momento di Pentecoste. Il dolore di Gesù per l’unità l’abbiamo fatto nostro e abbiamo sentito la gioia di porre un piccolo tassello». Ed è stato anche un dono, lo chiama così don Giovanni, per la pastora Ulrike Jourdan, che si trasferisce a Genova. «Con il suo stile ha promosso e accelerato questo gesto ecumenico, quasi a dire che la presenza di un femminile favorisce anche il maschile che è della chiesa cattolica, ortodossa... Ha portato il timbro metodista dentro le nostre relazioni, che invece di benedizione parla di santificazione. È stata una presenza esemplare, costruttiva... Il rapporto tra tutti noi è oltre l’apologia e il confronto dogmatico». Don Giovanni Brusegan, a cui tocca la prima presidenza del consiglio (poi ci si turna), guarda già avanti: «La prima cosa che proporrò sarà la costituzione di un Tavolo delle religioni. Dobbiamo impegnarci affinché le religioni diventino sempre più conosciute come portatrici di pace e non come fautrici di conflitti».