Due Palazzi: Gaetano, battezzato a 45 anni
«Grazie alla fede sento di poter portare sulle spalle il peso dell'ergastolo ostativo»: sono le parola di Gaetano, che vive nel reparto di alta sicurezza del carcere Due Palazzi. Domenica scorsa, con grande emozione, ha raccontato la sua storia alle parrocchie che hanno partecipato all'apertura della Porta santa (Chiesanuova e Villa di Teolo). Il vescovo Claudio, accogliendo questa vita così come quella di tutti gli altri detenuti che "abitano" il carcere di Padova, ha consegnato – come sintesi della giornata – due parole/invito: a farci tutti "angeli" che, sperimentata la misericordia di Dio, la annunciano dentro e fuori dal carcere; a farci guarire da Gesù, per poi diventare noi stessi guaritori nelle situazioni in cui viviamo. «Perché non guarisce un carcere se non guarisce la società».
Gaetano vive nella sezione di alta sicurezza del Due Palazzi di Padova. Ha ricevuto il battesimo cristiano a 45 anni e ritrova le origini della sua conversione in un momento difficile, per problemi giudiziari ma soprattutto familiari, vissuto nel carcere di Poggioreale. «Ho avuto vicino una suora, che per me è una santa. Sapeva che non ero battezzato… ma mi ha insegnato a pregare. Mi ha fatto smettere gli psicofarmaci, di cui si fa molto uso nelle carceri quando si è sopraffatti dai problemi».
La vita di Gaetano, però, non è migliorata. È stato trasferito e ha perso il conforto di quella suora. «Sono tornato al regime di 41 bis, dove non si ha nulla e si vive isolati tutto il giorno. Si passa il tempo con se stessi. Ma avevo portato con me le preghiere che mi aveva lasciato la suora. Mi hanno molto confortato…».
A Padova, dove è arrivato tre anni fa, c’è stata quella che Gaetano chiama «la mia sterzata. Partecipavo alla messa da clandestino, visto che non ero battezzato, e l’ho fatto presente a padre Giuseppe. In quel momento mi si sono state spalancate le porte del percorso di catecumenato, che ho vissuto con molto piacere. La mia sterzata è stata nel modo di pensare, agire, comportarmi. Quando sono arrivato in questo carcere, portavo ancora sulle spalle il mio passato, perché nessuno mi aveva dato la possibilità di cambiare. Qui ho potuto farlo. Anche per mia moglie Gaetana e mia figlia Gaia».
Nel 2013 viene battezzato e, come dice lui (non senza emozione), cambia tutto. «Grazie alla fede sento di poter portare sulle spalle il peso dell’ergastolo ostativo. È una pena di morte mascherata, come l’ha definita papa Francesco. Non ti dà la speranza di vedere un giorno la libertà. Io, grazie alla fede, la speranza non l’ho persa del tutto. Ho dei rimpianti a causa della mia vita di illegalità: non essere stato accanto a mia madre quando se ne andava, non poter essere in questo momento vicino a mio padre che ha 96 anni».
Le tante emozioni di questa “domenica della misericordia” nel carcere Due Palazzi di Padova le ha sintetizzate il vescovo Claudio, che ha accolto le storie di Gaetano, Armand Davide e Alfredo. Ma anche di tutti gli altri detenuti che non hanno partecipato di persona all’apertura della porta santa (tra cui Enrico, che vive nella canonica di Campodarsego e sta “aprendo porte” inaspettate per la comunità parrocchiale).
«Mi vengono in mente due parole a conclusione di questa giornata: la prima è “angelo”, che ho citato nell’omelia. Gli angeli qui si possono pescare tra i magistrati, gli agenti di polizia penitenziaria, i carcerati, i preti… Il Signore deve continuare a parlare di cose belle, perché noi veniamo toccati e cambiati dal bello, dagli affetti, dalla tenerezza. Spero quindi che la parrocchia del Due Palazzi cresca, non solo perché ci sono degli incaricati ufficiali come don Marco e i suoi catechisti, ma perché ci sono persone qui dentro che si fanno carico di annunciare quello che hanno sperimentato da parte di Dio. Quindi diventano loro degli angeli.
La seconda parola riguarda anche me. C’è un brano del vangelo in cui si parla di un indemoniato, che incontra Gesù e viene guarito. Poi vorrebbe seguirlo, ma Gesù gli dice: torna a casa tua. Perché la guarigione non riguarda solo il singolo, ma anche il contesto in cui si vive. Se qui, in questo carcere, si riuscisse a fare esperienza della misericordia di Dio… tutto ciò andrebbe gettato anche fuori! Perché non guarisce un carcere se non guarisce la società. Chiediamo al Signore di farci angeli in carcere e fuori guaritori della nostra società.