"Treni e bus non possono arrivare dappertutto. Serve più fantasia negli utenti"
Il dato di partenza è chiaro: in Veneto crescono quanti sono costretti a spostarsi, per motivi di lavoro o di studio, ma anche per acquisti o per accedere ai servizi (pensiamo agli ospedali, sempre più decentrati rispetto ai contesti urbani) e nello stesso tempo aumenta l’uso del mezzo privato, dell’automobile. Questa la situazione, a cui segue, quasi scontata, una domanda: perché i veneti usano poco il servizio pubblico? E come si potrebbe migliorare la situazione. Luca Della Lucia, che insegna gestione ed esercizio dei trasporti all’università di Padova, propone un "esercizio di fantasia" per ovviare ai limiti strutturali dei trasporti pubblici.
Il dato di partenza è chiaro: in Veneto crescono quanti sono costretti a spostarsi, per motivi di lavoro o di studio, ma anche per acquisti o per accedere ai servizi (pensiamo agli ospedali, sempre più decentrati rispetto ai contesti urbani) e nello stesso tempo aumenta l’uso del mezzo privato, dell’automobile. Questa la situazione, a cui segue, quasi scontata, una domanda: perché i veneti usano poco il servizio pubblico? Luca Della Lucia, che insegna gestione ed esercizio dei trasporti all’università di Padova, in proposito non ha molti dubbi.
«Non si può affrontare il tema della mobilità – spiega il docente – a prescindere dalla situazione urbanistica. Il nostro Veneto, quello della “città diffusa”, pone inevitabili problemi da questo punto di vista. Non siamo una realtà policentrica, in cui sia possibile stabilire collegamenti efficaci con alcuni punti cruciali, siamo “sparsi” e questo complica molto la situazione. A ciò aggiungiamo che i nostri interventi sono stati quanto meno un po’ improvvisati».
Qualche esempio?
«Guardiamo oltre confine, in Svizzera, a esempio. Una città come Zurigo ha 17 fermate ferroviarie, vale a dire che il mezzo su rotaia viene inteso come uno strumento utile e funzionale agli spostamenti; Padova, circa 100 chilometri quadrati di superficie, ha una sola stazione; le altre, quelle periferiche, sono praticamente inesistenti o inutilizzabili. Questo porta a un dato incontestabile: il 7 per cento dei padovani (ma la stessa cosa vale anche per Brescia, a esempio) si muove utilizzando il mezzo pubblico; a Zurigo la cifra sale al 30-25 per cento; lo scarto non è certamente poca cosa».
Da dove partire?
«Quello che ci manca sono punti di aggregazione, intelligenti, dove i viaggiatori possano trovare l’opportunità di accedere ai loro luoghi di lavoro e studio. Abbiamo puntato molto sul sistema ferroviario metropolitano di superficie (Sfms), ma fino a oggi abbiamo realizzato poco. Anzi: quello che abbiamo costruito (sottopassi, cavalcavia, parcheggi, ecc.) tutto sommato è ancora funzionale ai movimenti veicolari automobilistici, più che agli spostamenti alternativi. Così il risultato è che soltanto il 2 per cento usa il treno per recarsi al lavoro».
Condannati al mezzo privato?
«Parliamoci chiaro: i trasporti, soprattutto in un contesto come il nostro, al pubblico costano molto. Soltanto il 40 per cento della spesa può essere coperto dai biglietti, il resto deve venire dallo stato. È immaginabile che di questi tempi si possa affrontare tale situazione? Direi proprio di no. Le risorse sono sempre più scarse, per cui abbiamo una lunga serie di località che al massimo possono (e potranno) essere servite soltanto da qualche collegamento giornaliero: troppo poco per rispondere alle esigenze degli utenti».
Non c’è soluzione….
«Credo che il trasporto pubblico potrà garantire, come di fatto già avviene, soprattutto per quello su gomma, una certa frequenza e capillarità sulle direttrici maggiori, quelle che uniscono i centri più grandi; per il resto bisognerà organizzarsi in maniera diversa, magari con un po’ “genialità”. A esempio, dobbiamo pensare a un utilizzo intelligente delle nuove tecnologie: perché non dare vita a dei club, dei gruppi, che attraverso l’uso dello smartphone aiutino le persone a spostarsi insieme, magari raggiungendo quei luoghi, mi riferisco appunto agli snodi che stanno sulle linee meglio servite? Non è un’idea soltanto suggestiva: là dove non è possibile intervenire in maniera strutturale, bisogna farsi aiutare dalla fantasia».
Comunque anche il servizio pubblico potrebbe essere migliorato in termini di funzionalità?
«Anche questo è vero: abbiamo ancora molti problemi di integrazione, pensiamo alla questione del biglietto unico, che certo non aiutano a rendere migliore un servizio che è già precario e non è detto possa migliorare in futuro per quantità dell'offerta».