Diga sull’Adige: scatta l’allarme dei comuni lungo il fiume

La proposta di una centrale idroelettrica sull’Adige, tra Badia Polesine e Terrazzo, ha sollevato le proteste di istituzioni, associazioni di categoria e consorzi di bonifica. Il progetto, che costerà 42,5 milioni di euro, ora è al primo stadio dell’iter di approvazione. Scade il 26 giugno il termine di presentazione delle osservazioni da parte dei soggetti coinvolti.

Diga sull’Adige: scatta l’allarme dei comuni lungo il fiume

Comuni in allarme per la costruzione di una diga sull’Adige per produrre energie elettrica. La notizia si abbatte come un fulmine a ciel sereno sui paesi affacciati sul fiume in prossimità di Rosta, la località che è stata scelta per la realizzazione. Sono dunque tre le province coinvolte: Padova, Rovigo e Verona visto che il sito individuato si trova tra Badia Polesine e Terrazzo.
Il progetto, proposto dalla ditta Lagarina Hydro s.r.l. di Limena, prevede la costruzione di una traversa fluviale lunga 150 metri e alta 16, innalzandosi di 5 metri al di sopra del livello d’acqua mediamente stimato. Sostenuta da piloni collocati a una distanza di 22 metri l’uno dall’altro e intervallati da paratoie per regolare il flusso, la diga dovrebbe creare un salto d’acqua di 5 metri grazie al quale l’acqua sarebbe convogliata con una forte pressione all’interno delle turbine della centrale idroelettrica annessa alla traversa.
Lo scopo del progetto infatti è la produzione di energia elettrica attraverso un generatore connesso alle turbine, energia che sarebbe poi venduta all’Enel e soltanto successivamente distribuita ai privati. La quantità d’acqua prelevata e reimmessa nel fiume dopo l’utilizzo oscilla tra i 2100 moduli di massima e i 1532 di minima, dove l’unità di misura corrisponde a 100 litri al secondo.
Completano il quadro di cifre i 42,5 milioni di euro previsti soltanto per le spese vive di costruzione, senza contare il versamento dell’iva e le spese tecniche.
Attualmente il progetto è soltanto al primo livello dell’iter procedurale previsto, ovvero la richiesta di derivazione dell’acqua. Ad una prima valutazione, il genio civile di Rovigo lo ha dichiarato ammissibile, cioè non lesivo né della sicurezza idrica né della tutela delle risorse idrauliche, pur non avendo ancora concesso l’autorizzazione. Il passo successivo sarebbe il permesso per la costruzione e la messa in esercizio dell’opera, ma i sindaci dei paesi interessati intendono far sentire la propria voce prima che sia troppo tardi.
A dire il vero il termine ufficiale per eventuali osservazioni è scaduto il 21 maggio scorso, tre mesi dopo la pubblicazione della richiesta sul bollettino ufficiale della Regione. Tuttavia il sindaco di Barbona Francesco Peotta, che ha scoperto il progetto quasi per caso, è riuscito a ottenere la proroga di un mese per rimediare al ritardo dovuto alla disinformazione.
«Formalmente saranno pure stati rispettati i passaggi burocratici – si lamenta il sindaco – ma il dato di fatto è che, ad oggi, tutti i soggetti che si troveranno a subire gli effetti di questa imponente presa d’acqua non sono stati informati e, men che meno, coinvolti direttamente». L’augurio è che i rappresentanti regionali si facciano carico di una maggiore trasparenza nelle procedure, visto che l’acqua è un bene comune da non trascurare.
Nel frattempo il sindaco Peotta ha allertato tutti i soggetti coinvolti: colleghi di altri paesi, acquedotti, associazioni agricole di categoria, consorzi di bonifica e cittadini, tutti preoccupati dagli effetti che l’opera potrebbe provocare. «L’impegno delle prossime settimane – afferma il primo cittadino di Barbona – è uno sforzo interno di informazione e approfondimento su dubbi e fattori di rischio in modo da individuare una linea comune d’azione».
E proprio su sollecitazione del primo cittadino di Barbona, il fronte unito contro la diga è diventato realtà. Venerdì 12 giugno infatti si sono riuniti a Este tutti i soggetti coinvolti per elaborare un piano di intervento comune. L’impegno preso all’unanimità è la stesura delle osservazioni da sottoporre al genio civile di Rovigo con l’obiettivo di bloccare la richiesta della Lagarina Hydro s.r.l. I documenti, preparati dal consorzio Adige-Euganeo, che si è offerto di coordinare l’azione, dovranno essere consegnati all’ufficio di competenza entro il 26 giugno, mentre la valutazione del genio potrebbe richiedere da poche settimane a qualche mese di tempo per la risposta. Nel frattempo i rappresentanti dei vari partiti continuano la loro campagna di informazione con i due incontri di Badia Polesine previsti per il 23 giugno (Movimento cinque stelle) e 24 (Lega Nord).
Gli ipotetici effetti negativi, spiegati durante l’incontro dello scorso 12 giugno da Giancarlo Mantovani, direttore del consorzio Adige-Po, riguardano innanzitutto la paura che l’acqua scarseggi nei periodi di siccità visto che la ditta tratterrà il quantitativo necessario a mantenere il dislivello di 5 metri, qualunque sia il livello del fiume. A rimetterci in questo caso sarebbero soprattutto gli agricoltori per l’irrigazione dei terreni, e gli acquedotti per le difficoltà di pescaggio. Un altro aspetto che preoccupa molto è la tenuta degli argini a monte della traversa, non abituati a sopportare la pressione esercitata dall’acqua da un’altezza di 16 metri. Da non trascurare, neppure il problema del ripascimento delle rive: a causa dello sbarramento infatti, i detriti non defluiranno più come prima causando quindi un rapido abbassamento del fondale, non più compensato dal deposito dei materiali. A questo si aggiunge inoltre il timore per il cuneo salino, fenomeno che si è già verificato in passato e che è legato all’eventuale abbassamento del livello dell’acqua a valle della diga.
Alle preoccupazioni tecniche, si accavallano poi quelle gestionali: l’eventuale speculazione della ditta sull’energia prodotta da un lato e il danno cumulativo legato alla presenza di altre centrali, dall’altro.
«A monte di questa – spiega il sindaco Peotta – sarebbero in progetto altre quattro centrali idroelettriche ma attualmente la regione non ha una visione d’insieme, motivo per cui l’ente si esprime sui singoli progetti senza comprenderne e valutarne l’impatto complessivo».

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