"Radiografia di una famiglia", al cinema l'Iran della rivoluzione e delle donne
La regista iraniana Firouzeh Khosrovani racconta, attraverso i ricordi e l'album di famiglia, la sua infanzia, divisa tra un padre laico e una mamma che pensa di trovare, nella rivoluzione islamica, se stessa e il suo posto nel mondo
Sembra una storia capovolta, quella che la regista iraniana Firouzeh Khosrovani, racconta nel suo ultimo film, “Radiografia di una famiglia”, distribuito in Italia da ZaLab e da oggi in uscita in alcune sale (qui luoghi e date). Una storia capovolta come le immagini di una radiografia, appunto: capovolta perché la donna è quella che vuole combattere, resistere, che si allontana dagli affetti, dalla figlia perfino, per difendere gli ideali religiosi e della patria. L'uomo, invece, è quello che cerca la sicurezza, la tranquillità, la comodità: è quello che sogna e reclama, per la figlia, una vita di pace. Ma è anche quello che cede, si arrende alle volontà della sposa, che lo chiama “moussio” (sarebbe 'monsieur', però lei il francese non lo ha mai imparato, pur vivendo qualche tempo in Svizzera) ma non si sottomette al suo desiderio di pace e di occidente.
“Radiografia di una famiglia” è un viaggio nei ricordi, nelle foto e nelle pellicole sgranate della vita vera della regista, del papà medico, laico, e della mamma che cerca e trova (o crede di trovare) Dio e se stessa nella rivoluzione islamica di Khomeini. Vedere il film è come sfogliare un album, che però è in movimento: le immagini appaiono, scompaiono,strappate dalla mamma che no vuole più vedersi senza velo, poi riappaiono, ricucite da una figlia che vuole conservare il ricordo e la gioia di quando il volto di sua mamma si mostrava, di quando suo papà sentiva la musica senza le cuffie, di quando era lei l'unica figlia di sua madre. La guerra tra Iraq e Iran irrompe, senza interromperla, nella rivoluzione islamica, nella quale la mamma di Firouzeh ha trovato un posto nel mondo e un senso alla sua vita, dopo la parentesi occidentale in Svizzera, in cui si “era persa”, si era scoperta, abbandonandosi – pur sempre con reticenza e preoccupazione – a uno stile di vita che non le apparteneva.
Le immagini delle donne velate, coperte dalla testa a i piedi, che si esercitano imbracciando i mitra, il rumore delle bombe e dei vetri infranti, il racconto doloroso di una figlia che ha dovuto rinunciare a una madre e alla pace, in nome dell'identità di una donna e di un Paese, sono più attuali che mai, nei giorni in cui il film, già presentato e premiato come miglior film all'Ifda 2020, esce nelle sale: gli stessi giorni in cui, in altre terre, altre bombe cadono, altri vetri si rompono, altre famiglie si dividono, altri figli devono rinunciare a padri o anche a madri, perché altri uomini e anche altre donne prendono le armi, in difesa di ideali, terre, diritti, uno scontro tra culture e civiltà in cui è sempre incerto chi abbia torto e chi ragione, ma sempre certo che lo sguardo più triste sia quello dei figli, che cantano per coprire il rumore della guerra.
Un film senza attori, in cui la storia è affidata alle immagini, tra cui alcune perle storiche, accompagnate della voce narrante della figlia e da frammenti di conversazione dei genitori. Uno sguardo e un racconto importanti, perché offrono il punto di vista di una figlia sulle vicende della sua famiglia e del suo mondo. Racconta la regista: “Questo film è la narrazione dei conflitti nascosti e palesi che hanno influenzato le nostre vite. Le immagini vietate sono diventate il punto fondamentale della storia. I nudi di Velasquez erano considerati volgari e dovevano essere tolti dalle pareti. Mia mamma lottava con le immagini di se stessa senza veli, strappandole dagli album di famiglia. Io con l’immaginazione cercavo di rimettere insieme i pezzi che mancavano dalle foto, disegnando le parti mancanti dei torsi e dei corpi senza braccia. Durante la mia infanzia sono stata costantemente costretta a scegliere tra i miei genitori; ogni singolo giorno subivo l’imposizione da una parte e l’accettazione dall'altra. La rivoluzione aveva svolto il suo ruolo, portandosi dietro le sue conseguenze”.
Chiara Ludovisi