Matteo Garrone: “tutte le persone devono muoversi liberamente e avere pari opportunità”
Con la sua potente fiaba “Io Capitano”, il regista Matteo Garrone racconta il lungo e duro viaggio di Seidou e Moussa, due ragazzi che lasciano il Senegal per raggiungere l’Europa. Intervistato da Scarp de’ tenis, afferma: “l’Africa è un Paese fatto di giovani. Che questi ragazzi e ragazze abbiano il desiderio di conoscere il mondo, cercare opportunità migliori, esattamente come abbiamo fatto e continuiamo a fare noi, è normale. Impedirglielo è una violazione dei diritti fondamentali dell’uomo”
La fiaba omerica di Matteo Garrone, “Io Capitano”, prosegue il suo cammino a grandi passi verso il successo sia di pubblico che di critica. Dopo il Leone d’Argento di Venezia come migliore regista e il premio Marcello Mastroianni al miglior attore esordiente, Seydou Sarr, protagonista del film, il regista romano è in attesa di sapere se entrerà nella rosa dei finalisti come miglior film straniero agli Oscar 2024, per il quale è stato candidato. Intanto, il lungometraggio – la storia di due adolescenti senegalesi alle prese con il viaggio verso l’Europa, intessuto di violenza e di morte – a metà dicembre sarà distribuito in Africa, a partire proprio dal Senegal. Il regista è intervistato nel nuovo numero di Scarp de’ tenis, rivista di strada promossa dalla Caritas, della quale – in accordo con la redazione – riportiamo ampie parti.
Matteo Garrone aspetta con impazienza il momento della distribuzione del film in Africa…
Sarà interessante vedere la loro reazione. Chissà se potrà essere un monito per i giovani, per metterli in guardia, oppure se la loro forza vitale, la loro voglia di viaggiare, di conoscere il mondo – così come penso – va oltre qualsiasi monito.
Ha affermato che è un’ingiustizia il fatto che a loro sia impedito di spostarsi liberamente…
L’Africa è un Paese fatto di giovani. Che questi ragazzi e ragazze abbiano il desiderio di conoscere il mondo, cercare opportunità migliori, esattamente come abbiamo fatto e continuiamo a fare noi, è normale. Impedirglielo è una violazione dei diritti fondamentali dell’uomo. Sono giovani e non si fermano, la loro carica vitale e la loro voglia di conoscenza non si ferma davanti ai fili spinati e ai muri europei. È davanti agli occhi di tutti.
Anche perché tanti scappano dalle guerre, dal cambiamento climatico…
Certamente è così. Ma è diventato anche uno stereotipo. Molti partono perché la globalizzazione è arrivata prepotentemente anche lì, partono perché ci sono i social, partono perché hanno una finestra costante sul nostro mondo e questo gli fa tante promesse. Partono perché vogliono conoscere il mondo, come fanno i nostri figli, e per cercare opportunità di vita migliori. Poi, certo, l’immagine che gli arriva è spesso falsata, anche da parte di chi è già qui e non ha voglia di far vedere i propri fallimenti. Le motivazioni della migrazione sono tante, non ho l’ambizione di volerle raccontare tutte in un unico film. Volevo raccontare un punto di vista, la storia di due ragazzi che cercano di combattere un sistema che li vuole bloccare nel loro Paese, che lottano contro questa ingiustizia per inseguire il loro sogni.
“Io Capitano” nasce dai racconti dei migranti, porta con sé la violenza, ma anche l’avventura…
È il grande racconto epico, una fiaba omerica. Già dai loro resoconti veniva alla luce. Ho cercato di dare voce a loro, di mettere in scena i loro racconti. Quando li ascoltavo ripensavo a Omero, e poi mi venivano in mente i romanzi di Stevenson, di Conrad, di Jack London. Insomma, c’è una componente romanzesca, con il grande racconto d’avventura, dentro questi racconti terrificanti che sono un pezzo di storia contemporanea: mentre noi parliamo stanno avvenendo quelle tragedie. Quasi tutto il film è girato in Marocco e quasi tutti erano migranti che avevano fatto il viaggio, anche sui barconi, ma ancora non erano riusciti ad arrivare in Europa. Io ho ascoltato molto i loro consigli durante le riprese. In questo film io sono un tramite.
L’Europa bunker è responsabile di questo sistema infernale dei viaggi?
Non ho risposte, perché di fatto il problema è complesso. Però la mia impressione è che se non si cominciano a regolarizzare i visti, a garantire dei canali di viaggio regolari e sicuri, noi alimentiamo sempre di più i trafficanti di esseri umani. Invece di combatterli.
Daniela Palumbo*
*Scarp de’ tenis