“Il primo giorno della mia vita” firmato Paolo Genovese e “Babylon” del Premio Oscar Damien Chazelle
Paolo Genovese come Frank Capra, firma la sua “Vita è meravigliosa”. Il regista romano porta sullo schermo “Il primo giorno della mia vita”, un racconto di disperazione e rinascita, il rinnamorarsi della vita al di là delle sue fratture. Toni Servillo è un angelo custode come il Clarence del film hollywoodiano. Sempre in sala “Babylon” di Damien Chazelle, sguardo vorticoso e impietoso sulla Hollywood degli anni ’20, tra opulenza e crisi brucianti legate al passaggio dal muto al sonoro. Il punto Cnvf-Sir.
Paolo Genovese come Frank Capra, firma la sua “Vita è meravigliosa”. Il regista romano porta sullo schermo “Il primo giorno della mia vita”, un racconto di disperazione e rinascita, il rinnamorarsi della vita al di là delle sue fratture. Toni Servillo è un angelo custode come il Clarence del film hollywoodiano. Nel cast anche Margherita Buy, Valerio Mastandrea e Sara Serraiocco. Sempre in sala “Babylon” di Damien Chazelle, sguardo vorticoso e impietoso sulla Hollywood degli anni ’20, tra opulenza e crisi brucianti legate al passaggio dal muto al sonoro. Il film è stato snobbato dall’Academy, con tre candidature tecniche ai prossimi Oscar, non contemplando nomination per Chazelle o per l’attrice Margot Robbie (meritata!). “Babylon” è di certo eccessivo e grottesco, ma possiede una regia potente e visionaria. Chazelle in maniera acuta ci ha mostrato il sogno hollywoodiano deformato: non più l’incanto colorato di “La La Land”, ma una Babilonia vertiginosa e tragicomica con lampi di ferocia.
Il punto Cnvf-Sir.
“Il primo giorno della mia vita” (dal 26.01)
Non solo Frank Capra e “La vita è meravigliosa” (“It’s a Wonderful Life”, 1946), la storia dell’affranto Gorge Bailey (James Stewart) salvato su un ponte dall’angelo Clarence (Henry Travers). Tra i titoli che tornano alla mente accostandosi all’ultimo film di Paolo Genovese, “Il primo giorno della mia vita”, c’è anche il dramedy britannico “Non buttiamoci giù” (“The Long Way Down”, 2014) di Pascal Chaumeil, su soggetto di Nick Hornby:
quattro aspiranti suicidi che provano a ritrovare il gusto per la vita riparando insieme ferite e irrisolti esistenziali.
Il regista romano, classe 1966, con venticinque anni di carriera dietro alla macchina da presa e un curriculum professionale importante – tra i suoi titoli il successo mondiale “Perfetti sconosciuti” (2016), in questi giorni ricordato anche dalla serie Sky “Call My Agent – Italia” –, porta sullo schermo il suo romanzo “Il primo giorno della mia vita” edito da Einaudi nel 2018.
Un racconto livido, una discesa nelle pieghe della disperazione e del dolore, per rintracciare le leve della speranza, quegli ancoraggi di fiducia nel domani.
La storia. Roma, oggi. In una notte di pioggia quattro sconosciuti trovano riparo in una macchina guidata da un uomo misterioso (Toni Servillo). Pensano tutti al suicidio: Arianna (Margherita Buy), ispettore di Polizia che ha perso la figlia prematuramente; Emilia (Sara Serraiocco), ex stella della ginnastica artistica che non muove più le gambe a seguito di una caduta; Napoleone (Valerio Mastandrea), coach motivazionale che ha perso smalto; infine, Daniele (Gabriele Cristini), youtuber preadolescente che conquista follower abbuffandosi di dolci davanti allo schermo, celando però una profonda insofferenza. I quattro trascorreranno del tempo insieme, una settimana, alla ricerca di risposte…
La regia di Genovese è come sempre molto elegante e accurata, attenta a costruire un universo narrativo il più possibile avvolgente, raffinato. Forte anche della collaborazione con il direttore della fotografia Fabrizio Lucci, “Il primo giorno della mia vita” è un film che affascina per la confezione formale. A impreziosire poi il quadro le musiche di Maurizio Filardo e il brano portante “The First Day of My Life” interpretato da Giorgia.
Entrando nelle pieghe del racconto, si rimane un poco spiazzati dalle diffuse note dolenti: la storia brucia di disperazione, mettendo a tema esistenze sul crinale della vita, pronte a gettare la spugna.
Il tema è quello del suicidio, argomento spinoso e scivoloso. Genovese lo governa con prudenza, contando anche su interpreti di mestiere – bravi Toni Servillo, Margherita Buy, Valerio Mastandrea e Sara Serraiocco –, muovendosi abile tra atmosfere sospese ed enigmatiche.
A ben vedere, il respiro del racconto sembra insistere un po’ troppo nel dolore, nel rimanere impantanato in una sofferenza claustrofobica.
L’orizzonte del film “Il primo giorno della mia vita” protende comunque verso la luce, il riguadagnare fiducia nei confronti dell’esistenza. Un cammino della speranza in chiaroscuro, che non offre soluzioni scontate o banali. Forse tutto non sembra girare alla perfezione, con qualche incertezza narrativa qua e là, più a favore di un’atmosfera elegante e ammantata di mistero che di rispondenze di senso. Paolo Genovese si conferma un autore dall’indubbio talento narrativo-estetico, firmando un’opera che possiede stile e spessore. Complesso, problematico, per dibattiti.
“Babylon” (dal 19.01)
Damien Chazelle è uno dei giovani autori statunitensi che si è subito distinto nel firmamento hollywoodiano per un cinema originale, brillante e acuto. Classe 1985, Chazelle ha bruciato le tappe con il bellissimo “Whiplash” nel 2014, conquistando poi l’Olimpo a stelle e strisce nel 2016 con “La La Land” (film di apertura di Venezia73, 14 nomination agli Oscar e 6 vinti) con cui viene incoronato il più giovane miglior regista nella storia dell’Academy. Ancora, nel 2018 con “First Man” per la seconda volta ha il compito di inaugurare la Mostra della Biennale di Venezia.
Ora è di nuovo nei cinema con un altro potente e malinconico racconto americano, “Babylon”, cimentandosi nella rilettura dell’industria hollywoodiana nei favolosi e forsennati anni ’20. Chazelle mostra una Hollywood da kolossal senza freni, economici e morali, ma anche il suo “viale del tramonto” – resa magistralmente nel film “Sunset Boulevard” (1950) di Billy Wilder con l’immensa Gloria Swanson –, nel passaggio tra muto e sonoro, con l’arrivo dei titoli “all talkie”. Si va da “The Jazz Singer” (1927) di Alan Crosland con Al Jolson all’era d’oro dei musical con “Singin’ in the Rain” (1952) di Stanley Donen con Gene Kelly.
La storia. Los Angeles, 1926. In una delle tante feste di divi del cinema, due outsider si incontrano: Manuel Torres, detto Manny (Diego Calva), venuto dal Messico con il desiderio di sfondare nella produzione; e Nellie LaRoy (Margot Robbie), tanto spiantata quanto ambiziosa. Nel corso di tale festa folle e farsesca, la vita di Manny e Nellie cambierà definitivamente: il primo diventerà assistente del divo del muto Jack Conrad (Brad Pitt), l’attore dei kolossal storico-avventurosi alla DeMille, mentre Nellie grazie alla sua avvenenza e sfrontatezza agguaterà il ruolo di una comparsa che la catapulterà poi su molteplici set. Il passaggio al sonoro è però dietro l’angolo e gli Studios con il loro Star System andranno incontro a non poche turbolenze.
Ha diviso critica e pubblico “Babylon”, un racconto che non usa mezzi termini.
Il film cavalca infatti l’onda dell’eccesso, sovraccaricando la narrazione di un’opulenza grottesca fatta di follie, incubi, droghe, erotismo, un ritratto del divismo a briglia sciolta, precipitato nella vertigine del vizio e della fragilità.
Ma dietro a tale cifra narrativa c’è sempre uno sguardo geniale, quello di Chazelle, che mette in scena la Hollywood classica come un circo delirante e sfrenato. È come se l’autore avesse voluto rileggere il suo “La La Land” spingendolo sui toni del chiaroscuro e allargando la riflessione dal sogno di due aspiranti star a un macro scenario suggestivo, magnetico e insieme terrificante.
Nell’insieme “Babylon” è un film che inquieta e conquista.
Anzitutto è da lodare la regia di Chazelle, vigorosa e incalzante, che sorprende nei volteggi finali con un omaggio alla storia del cinema. Stupendo! Ancora, Margot Robbie offre nuovamente un’interpretazione che lascia il segno: la sua Nellie è un personaggio fuori controllo, una carrierista fragile e tragica, una performance da applauso che spiace non sia in corsa per l’Oscar. A correre per la statuetta ci sono invece i bellissimi costumi di Mary Zophres e soprattutto le musiche – sempre puntuali e perfette, come in ogni film di Chazelle – firmate dal già Premio Oscar Justin Hurwitz.
“Babylon” è un film che non lascia indifferenti: al di là delle provocazioni e degli eccessi, se ci si sofferma sulla traiettoria narrativa scelta dall’autore, si scopre anche una chiara bellezza, impastata di sensuale nostalgia. Complesso, problematico, per dibattiti.