Il futuro delle cooperative di comunità: il punto di vista di Paolo Scaramuccia, responsabile Legacoop.
Le cooperative di comunità sono un fenomeno ancora nuovo in molta parte d'Italia ma estremamente dinamico: cambiano forma, fisionomia diventando spesso l'unica azienda presente nei centri più piccoli della penisola.
Borghi isolati, incastonati nelle Dolomiti come Costa di San Nicolò di Comelico dove Alberi di Mango — una delle prime cooperative di questo tipo del Veneto — ha messo in piedi un bar ristorante che, in pochi mesi, è divenuto il cuore del paese.
Paolo Scaramuccia, responsabile del progetto cooperative di comunità di Legacoop, non usa mezzi termini: «Se vogliamo far sì che i territori non si spopolino, che i giovani rimangano nei paesi, dobbiamo trovare il modo di favorire queste realtà nell'ambito dell'ordinamento vigente».
La storia del movimento cooperativo italiano si perde nei secoli ma negli ultimi anni una novità ne ha segnato lo sviluppo: le cooperative di comunità.
Una realtà multiforme, poliedrica, nata per essere di confine e contribuire a rivitalizzare i piccoli centri delle aree interne, alpine e appenniniche. Da alcuni mesi anche in Veneto è nata una cooperativa di comunità — la prima, secondo alcuni, la seconda se consideriamo la Cadore, cooperativa sociale delle Dolomiti — e ha un nome tanto curioso quanto significativo: Alberi di mango .
La storia è comune a tutte le cooperative di questo tipo e vede in prima linea gli abitanti di un piccolo borgo che decidono di opporsi al frutto amaro del progresso: lo spopolamento. Per farlo si organizzano e rimettono in piedi un'attività commerciale e una rete di welfare, ricominciando a progettare il loro futuro.
Il sogno e la buona volontà, però, rischiano di fermarsi quando inizia il confronto con la realtà e la burocrazia. Il responsabile del progetto cooperative di comunità di Legacoop, Paolo Scaramuccia, descrive una situazione estremamente dinamica ma ancora bisognosa di attenzioni e sostegno, specie in assenza di una legge nazionale ad hoc.
- Dopo le molteplici esperienze emiliane, pugliesi e toscane, anche in Veneto abbiamo una, forse due cooperative di comunità ma la nostra Regione ha una normativa adeguata in materia?
Non mi risulta che il Veneto abbia normative approvate né proposte o iniziative a riguardo mentre nel resto d'Italia c'è un movimento sul tema, con anche tante proposte regionali presentate. Tendenzialmente, l'indirizzo è quello dell'impresa sociale, nello specifico della cooperativa impresa sociale.
- Qual è l'approccio migliore a queste realtà, da parte delle Regioni?
L'esperienza che mi è piaciuta di più è quella della Regione Toscana che ha deciso di inserire, inizialmente all'interno della normativa regionale sulla cooperazione, un piccolissimo articolo che citava le cooperative di comunità. In seguito ha finanziato un primo bando per la loro promozione, proprio per vedere mettendoci delle risorse se a fronte di tanto clamore c'era effettivamente della sostanza. La prova è andata molto bene e sui risultati di questo bando - una ventina di coop costituite - si è sviluppata la normativa regionale. Da pochissimi giorni è stato rilanciato un secondo bando e, a mio avviso, questo è uno degli approcci più seri messi in capo da una regione perché stiamo assistendo a regioni che legiferano sulla materia anche in assenza di cooperative già costituite.
- Si portano avanti, insomma.
Esatto, ma questo da una parte rischia di stroncare il fenomeno definendo delle regole troppo stringenti per un fenomeno ancora nuovo. Non sono, invece, un grande sostenitore dell'ingresso dei comuni nella compagine associativa, per quanto sia permesso dalla legge: da una parte si rischia che la cooperativa venga vista come la coop del sindaco e ,allo stesso tempo, c'è il rischio per l'amministrazione d'essere trascinata nel fallimento della cooperativa di comunità che, come tale, è un'impresa fallibile.
- Che ruolo possono svolgere i comuni?
L'idea è che le amministrazioni comunali abbiano un ruolo fondamentale di legittimità sul territorio e possano accompagnare le cooperative e promuoverle. Accompagnarle rimanendo fuori dalla porta del notaio, avendo l'umiltà di studiare sia il modello cooperativo che le norme.
Il ruolo degli enti e delle istituzioni locali è fondamentale ma il rischio è duplice: da un lato è facile che la coop venga vista come l'azienda del sindaco o, perché no, della parrocchia; dall'altro si rischia di coinvolgere l'ente o l'istituzione nelle beghe di un'attività che comunque è un'impresa e come tale può fallire.
- Ma le amministrazioni locali hanno davvero gli strumenti per affrontare questo compito?
La strumentazione a disposizione degli enti è varia e bisogna studiarla, penso ad esempio alla co-progettazione e alla co-programmazione o i partenariati con il terzo settore. Mi è capitato di parlare con alcuni soci di cooperative in giro per l'Italia in paesi da cento abitanti dove il comune ha fatto un bando europeo per l'affidamento del chiosco quando nel paese non c'era nessun'altra attività economica superstite. Al secondo bando europeo andato deserto, è stato fatto un affidamento diretto alla cooperativa.
«Se vogliamo far sì che i territori non si spopolino, che i giovani rimangano nei paesi, dobbiamo trovare il modo di favorire queste realtà nell'ambito dell'ordinamento vigente».
- Capitolo finanziamenti: come sostenere economicamente queste realtà? Co-finanziamento o finanziamento a fondo perduto?
È rischioso banalizzare le diverse tipologie di finanziamento: ci sono in realtà alcuni strumenti che paradossalmente potrebbero funzionare di più e meglio di una sovvenzione.
- Ad esempio?
Stiamo parlando di realtà particolarmente diffuse nelle aree interne dove una persona non può pensare di lavorare unicamente nel bar del paese o portando i bambini a scuola. La stessa persona che la mattina accompagna i bambini, torna e all'ora di pranzo fa il cameriere e magari al pomeriggio lavora nel caseificio: in questo caso noi abbiamo una difficoltà enorme ad inquadrare quella figura dal punto di vista contrattuale e assicurativo. L'impresa sostiene tantissimi oneri per attivare di volta in volta un codice Ateco diverso a cui corrisponde una singola assicurazione, con l'aggravante che il lavoratore si trova ad operare in una zona grigia a causa di una normativa eccessivamente complicata. Riunire le assicurazioni è già un'intervento, quasi a costo zero, che vale un finanziamento.
- Ciò inevitabilmente sottende ad una visione d'insieme dell'argomento.
Tutti parlano di aree interne, spopolamento e abbandono: questi son evidentemente dei territori poco attrattivi, ai limiti del fallimento di mercato, ma sono fondamentali per lo sviluppo del paese. Se vogliamo ragionare seriamente sul futuro di queste aree, dovremmo pensare a strumenti diversificati: come possiamo adottare lo stesso approccio per un comune di cento abitanti come per Roma capitale?
- Il rischio qual è?
Le racconto un fatto: nell'appennino reggiano c'erano quattro comuni che, negli ultimi anni, hanno dato vita ad un unico comune. In queste realtà avevamo due cooperative di comunità e, prima dell'accorpamento, i lavori di sgombro neve venivano affidati direttamente ad una delle coop in quanto sotto-soglia. Con l'aggregazione, estendendosi il territorio, si è andati sopra-soglia e si è proceduto ad un bando nazionale, vinto da una società di fuori regione che ha subappaltato il servizio alla stessa cooperativa di comunità.
«Non bastano i finanziamenti perché poi i soldi finiscono. Se non viene data l'opportunità concreta per uno sviluppo locale, creando ricchezza e lavoro, le risorse finiscono rapidamente e senza benefici».
- Oltre ad una normativa ad hoc e a dei finanziamenti, servirebbe anche un supporto concreto agli investimenti?
Pensiamo alla fibra ottica: in alcuni piccoli centri forse non arriverà mai, ma se noi organizziamo i cittadini come utenti potrebbero farsi la loro fibra come un tempo si facevano gli acquedotti, le reti elettriche o del gas in forma cooperativa. Se aspetto che arrivi la grande azienda che potenzialmente non ha nessun interesse di mercato, il gap si amplia e perdiamo i giovani che fanno affidamento su questo tipo di tecnologia per lo studio e il lavoro.
- Qualora un consigliere, un assessore regionale veneto volesse interessarsi alle cooperative di comunità, cosa dovrebbe fare?
Intanto convocare le associazioni, l'Alleanza delle cooperative, e avviare un dialogo, ascoltando le esperienze e invitando al tavolo le cooperative di comunità che già ci sono: proprio loro potranno spiegare le difficoltà e le problematiche a cui questo tipo di cooperazione fa fronte ogni giorno.