Rivolte a Rebibbia, rinvio a giudizio per 55 detenuti
L’Unione sindacati polizia penitenziaria plaude all'esito della chiusura delle indagini: “Speriamo che non manchi in nessun caso la risposta dello Stato anche alle infamanti accuse di maltrattamento e addirittura di tortura rivolte nei confronti dell’operato della polizia penitenziaria intervenuta per ripristinare l’ordine, la sicurezza e la legalità”
“Che debbano essere penalmente censurate le gravi rivolte che si sono verificate nel marzo scorso è un dato di fatto e speriamo che non manchi in nessun caso la risposta dello Stato anche alle infamanti accuse di maltrattamento e addirittura di tortura rivolte nei confronti dell’operato della polizia penitenziaria intervenuta per ripristinare l’ordine, la sicurezza e la legalità nelle carceri”. E’ quanto si legge in una nota della Segreteria Nazionale dell’Uspp (Unione Sindacati di Polizia penitenziaria) alla notizia della avvenuta notifica a 55 detenuti degli avvisi di conclusione indagini con richiesta di rinvio a giudizio per la rivolta del 9 marzo a Rebibbia NC.
“Mentre rivolgiamo il nostro applauso al N.I.C. della Polizia Penitenziaria che ha condotto l’attività d'indagine nel circondariale romano - prosegue la nota Uspp - non possiamo non chiedere che siano accellerate le indagini per individuare i responsabili delle rivolte che si verificarono anche a seguito di improvvide iniziative Dipartimentali con l’avallo del Ministro della Giustizia Alfonso Bonafede, che se non ha responsabilità penali sui gravi fatti accaduti (evasioni, morti, feriti e danni per 35 milioni di euro) ha sicuramente la responsabilità politica per la gestione e lo stato in cui versano le carceri”.
Per l’Uspp “è assurdo che ad oggi nulla è stato fatto concretamente per impedire il possibile ripetersi di eventi drammatici e nelle carceri continuano a verificarsi aggressioni giornaliere in danno degli agenti (l’ultima delle quali nel carcere di Pesaro dove un detenuti ha aggrediti 9 agenti che hanno riportato contusioni con prognosi fino a 10 giorni) e questo oltre a costituire motivo di apprensione per l’incolumità psicofisica del personale operativo e non, pone seri dubbi sull’efficacia dell’azione del Ministro Bonafede. Non basta infatti aver cambiato i vertici del Dap ma occorrono misure legislative che ripristinino legalità e sicurezza nelle carceri, aumentando le pene su chi commette gravi atti contro gli agenti con la compressione di benefici di legge quali la concessione delle misure alternative. Al contempo occorrono risorse straordinarie, sia umane che strumentali per dare credibilità al servizio svolto dalla polizia penitenziaria che, è bene ricordarlo, è una delle componenti che partecipa all’attività rieducativa dei detenuti tra le più esposte e le più importanti per la tenuta del sistema carceri. In tale ottica oltre ad aver richiesto al Governo Conte di dichiarare lo stato d’emergenza delle carceri, ribadiamo la nostra richiesta di dimissioni di Bonafede, che continua a restare silente di fronte alla costante deriva in cui sta progressivamente andando l’intero mondo penitenziario”.