Le scoperte sui danni da inquinamento acustico nei mari
Non c’è ancora una mappa globale del rumore oceanico, ma gli studiosi concordano sul fatto che, tra il 1950 e il 2000, il traffico delle navi è quasi raddoppiato.
Tante le minacce che mettono a rischio la “salute” degli oceani; tra queste, non è certo da sottovalutare il crescente inquinamento acustico, prodotto dalle attività umane in questo ambiente.
La preoccupazione internazionale su questo fenomeno sta aumentando rapidamente, mentre sono sempre più evidenti i problemi derivanti dal frastuono che generiamo nei mari con sonar militari, indagini sismiche, trivellazione petrolifere, dragaggi, motori navali, ecc… Tutto ciò sta già provocando gravi danni alle varie specie della fauna marina, nel suo habitat naturale. E’ noto, ad esempio, che suoni forti e improvvisi possono causare danni fisici, mentre il rumore di fondo persistente (come quello prodotto dalle navi in transito) è in grado di alterare una serie di sistemi e comportamenti animali, dalla comunicazione all’alimentazione. Dunque, bisogna agire prima che sia tardi.
La politica pare stia facendo i primi passi per provare a regolamentare il rumore subacqueo: lo scorso novembre, le Nazioni Unite, concordando alcune risoluzioni per salvaguardare la salute degli oceani, hanno sottolineato un urgente bisogno di ricerca e cooperazione per affrontare gli effetti del rumore subacqueo di origine umana. Anche l’Unione Europea si è mossa, adottando una legislazione per arrivare a sistemi marini in salute entro il 2020, compresa una specifica disposizione per garantire che il rumore subacqueo non influenzi negativamente la vita marina. E già dal 2014, l’Organizzazione marittima internazionale ha emanato linee guida per ridurre il rumore delle navi.
In realtà, non c’è ancora una mappa globale del rumore oceanico, ma gli studiosi concordano sul fatto che, tra il 1950 e il 2000, il traffico delle navi è quasi raddoppiato, aumentando i contributi sonori di circa 3 decibel per decennio. Ciò corrisponde ad un raddoppio dell’intensità del rumore ogni dieci anni.
Tornando alle vittime di questo inquinamento, il segno più evidente dei problemi che esso sta causando è stata, qualche tempo fa, la comparsa sulle spiagge di numerosi gruppi di cetacei zifidi morti. I ricercatori ipotizzano infatti che l’improvviso verificarsi di suoni forti possa scatenare tra gli animali marini il panico, spingendoli a rapide immersioni; nei cetacei in particolare, esse causerebbero una sorta di malattia da decompressione, con letali emorragie cerebrali e cardiache.
Del resto, altri studi dimostrano che l’esposizione a forti rumori può danneggiare le orecchie dei cetacei, fino alla perdita dell’udito. Ma non mancano anche i danni indiretti. Nel 2017, per esempio, i ricercatori hanno avvisato che i rumori delle esplosioni per il rilevamento sismico possono propagarsi attraverso l’acqua e uccidere lo zooplancton a più di un chilometro di distanza, privando così di sostentamento gli animali che se ne nutrono.
Come già rilevato, anche il rumore di fondo ha effetti nocivi sugli abitanti marini. L’esposizione al rumore a bassa frequenza delle navi, ad esempio, pare associata a stress cronico nei cetacei; ne ha fornito per la prima volta prova biologica Rosalind Rolland, direttrice della sezione per la salute degli oceani presso l’Anderson Cabot Center for Ocean Life di Boston, in Massachusetts, che effettuando uno studio di lunga durata su campioni di feci provenienti da esemplari di balena franca nord-atlantica (Eubalaena glacialis), ha notato un calo dei metaboliti legati allo stress.
Secondo altri studi, poi, il rumore delle navi può anche aumentare i livelli di ormone dello stress negli organismi, inclusi pesci e granchi, spingendoli a trascorrere più tempo a monitorare i segnali di pericolo, invece che a curare la prole. I delfini, invece, reagiscono ad un rumore ambientale forte cambiando tono nel loro verso, che assume frequenze più basse, con meno variazioni. Alcune megattere semplicemente smettono di cantare. Cambiamenti, questi, purtroppo in grado di alterare i rapporti tra le specie secondo modalità ancora sconosciute (es. capacità di catturare il cibo, trovare un compagno o nascondersi dai predatori).
Come per i cambiamenti climatici, le prove del danno prodotto dal rumore marino sono ormai abbastanza evidenti, suggerendo l’urgenza di correre ai ripari. Fortunatamente, il rumore è più facile e più veloce da ridurre rispetto all’acidificazione degli oceani o all’uso di combustibili fossili. L’inquinamento acustico, infatti, può essere affrontato in modo estremamente rapido. Le navi, ad esempio, possono essere rese più silenziose sollevando i motori dal fondo della nave o usando eliche progettate per ridurre la cavitazione (cioè la creazione di minuscole bolle, che scoppiano rumorosamente quando esplodono); i moderni metodi di comunicazione possono aiutare le navi ad avvicinarsi più lentamente ai porti, senza bisogno di sostare ormeggiate al largo fino a quando non diventa disponibile un punto di attracco; molte navi da crociera hanno cominciato ad usare eliche con motori elettrici, principalmente per ridurre i livelli di rumore per i loro clienti, ma anche a beneficio della vita marina.
Certo, c’è ancora molto da fare, ma… anche in questo caso… siamo ancora in tempo a riparare i danni che abbiamo provocato! Prima che sia troppo tardi!