Ancora un suicidio in carcere, i numeri del 2022 sempre più preoccupanti
Una donna si è tolta nella vita a Rebibbia, portando a 39 il totale delle persone che si sono tolte la vita in cella. Cifre che non si raggiungevano da oltre un decennio, figlie anche del sovraffollamento. Il sindacato Polizia Penitenziaria: “Estate stagione problematica, serve maggiore prevenzione”
Ancora un suicidio in carcere, con i numeri che raccontano sempre più un contesto grave e difficile. Si tratta di una detenuta nel carcere romano di Rebibbia: si è uccisa nella sua cella della sezione femminile, con un cappio rudimentale. E’ la terza donna in quella struttura ed è il suicidio numero 39 in carcere dall’inizio dell’anno.
Si tratta di numeri molto elevati, con un suicidio in media ogni cinque giorni. Numeri simili, evidenziava il recente rapporto curato da Antigone, che a sua volta riprendeva i dati raccolti da Ristretti Orizzonti con il dossier “Morire di carcere”, si sono registrati negli scorsi anni solamente nel 2010 e nel 2011, cioè negli anni caratterizzati da un forte sovraffollamento penitenziario. “Oggi - sottolinea Antigone - i detenuti sono assai meno che allora ma carenze e disagi continuano, impattando con più o meno forza nei percorsi delle persone detenute. Ovviamente ogni caso di suicidio ha una storia a sé, fatta di personali sofferenze e fragilità, ma quando i numeri iniziano a diventare così alti non si può non guardarli con un’ottica di insieme. Come un indicatore di malessere di un sistema che necessita profondi cambiamenti".
La natura strutturale del fenomeno è purtroppo confermata dal confronto con quanto accade fuori dagli istituti di pena. Con 0,67 casi di suicidi ogni 10.000 abitanti, l’Italia è in generale considerato un paese con un tasso di suicidi basso, uno tra i più bassi a livello europeo. Secondo gli ultimi dati del Consiglio d’Europa, l'Italia si colloca invece al decimo posto tra i paesi con il più alto tasso di suicidi in carcere. In carcere l’incidenza del suicidio è 16 volte più alta che fuori.
Il Sindacato Polizia Penitenziaria: “Serve piano di prevenzione”
“Ancora una volta – dice il segretario generale del S.PP. (Sindacato Polizia Penitenziaria) Aldo Di Giacomo - la sezione femminile di Rebibbia, dove il sovraffollamento in cella al 30 giugno scorso toccava il 133%, si conferma uno degli istituti con maggiori problematiche. Basti ricordare che al 31 marzo scorso risultava un gruppo di 4 bambini all’interno della sezione nido di questa Casa Circondariale. E per effetto delle imminenti elezioni politiche la proposta di legge di civiltà per tenere i bambini fuori dal carcere passerà al nuovo Parlamento. L’estate si conferma dunque stagione problematica da gestire nelle carceri, mentre l’unica Regione che ha attivato, sia pure solo di recente, un piano di prevenzione suicidi è la Regione Lombardia, un piano che contiene aspetti decisamente importanti come un programma individualizzato di presa in carico congiunta nel quale saranno indicati ulteriori interventi integrati degli operatori sanitari, di sostegno e di sorveglianza, secondo le necessità determinate dalle problematiche rilevate. Significativa, inoltre, la costituzione di uno staff multidisciplinare composto da rappresentanti del personale penitenziario e sanitario”.
“Come sostengono gli esperti, la pandemia se in generale ha accentuato situazioni di disagio mentale, apprensione ed ansia, ha avuto e continua ad avere ripercussioni ancora più gravi nelle carceri dove – aggiunge Di Giacomo – il personale di sostegno psicologico come quello sanitario in generale ha numeri ridotti e non riesce a far fronte all’assistenza ancor più necessaria negli ultimi due anni di Covid. Come sindacato è da tempo che abbiamo proposto l’istituzione di Sportelli di sostegno psicologico, tanto più contando su almeno 3 mila laureati in psicologia che nel nostro Paese non lavorano con continuità. Come per il personale penitenziario che continua a dare prova di impegno civico è sicuramente utile attivare corsi di formazione ed aggiornamento per essere maggiormente preparati ad affrontare casi di autolesionismo e suicidio, oltre naturalmente a provvedere rapidamente all’atteso potenziamento degli organici”.
“Uno Stato che non riesce a garantire la sicurezza del personale e dei detenuti testimonia di aver rinunciato ai suoi doveri civici. L’incapacità – continua Di Giacomo – è ancora più irresponsabile in questa nuova fase di diffusione della pandemia. Sminuire o nascondere la verità – aggiunge – può solo portare ad un’ulteriore sottovalutazione e a complicare le problematiche esistenti per la salute della popolazione carceraria e di chi lavora”.