21 luglio, in Italia 10 mila rom in meno in emergenza abitativa
Presentato il sesto Rapporto annuale dell’associazione. Aumentano i processi di superamento degli insediamenti monoetnici, ma continuano i sgomberi forzati anche in pandemia. Stasolla: “Nella giusta direzione. Decisivo l’intervento del governo a sostegno degli enti locali”
Tra il 2016 e il 2021 il numero delle persone residenti negli insediamenti monoetnici italiani è sceso di ben 10 mila unità, con un decremento pari al 36,5% (del 37% negli insediamenti formali e del 35% negli insediamenti informali). A darne notizia è il nuovo rapporto dell’associazione 21 luglio presentato oggi a Roma. Giunto alla sua sesta edizione, il rapporto di quest’anno è intitolato “L’esclusione nel tempo del Covid” e offre uno spaccato della situazione in Italia e nella città di Roma in un arco temporale compreso tra il primo gennaio 2020 e il 30 giugno 2021, fortemente segnato dalla pandemia da Covid-19. Il rapporto mette in rilievo luci e ombre. Dal consolidarsi del fenomeno di fiuoriuscita dagli insediamenti, all’avvio di processi virtuosi di superamento degli stessi da parte di sempre più Amministrazioni locali; ma anche l’organizzazione di sgomberi forzati dopo il Decreto Legge n. 18 del 17 marzo 2020 che prevedeva “una moratoria delle esecuzioni degli sgomberi a causa dell’emergenza pandemica”. “L’approccio etnico, in Italia più che in Europa, ha consentito e poi consolidato la costruzione di un sistema abitativo per soli rom parallelo a quello proprio della società maggioritaria - si legge in una nota dell’associazione -. Denominata non a caso il ‘Paese dei campi’, l’Italia ha assistito negli ultimi 40 anni a una presenza progressiva di baraccopoli monoetniche sull’intero territorio nazionale anche se nell’ultimo biennio si sottolineano importanti elementi di discontinuità già evidenziati negli anni precedenti”. Secondo il nuovo rapporto, in Italia sono 109 gli insediamenti formali (ovvero progettati, costruiti e gestiti dalle Amministrazioni locali) distribuiti in 63 comuni e 13 regioni. In totale sono circa 17.800 i rom e sinti che vivono nelle baraccopoli formali e informali, pari allo 0,03% della popolazione italiana. Di questi 11.300 sono presenti nelle baraccopoli formali e 6.500 nelle baraccopoli informali e microinsediamenti. Dei rom e sinti presenti nelle baraccopoli istituzionali si stima che circa il 49% abbia la cittadinanza italiana, il 41% sia in possesso della nazionalità dei Paesi dell’ex Jugoslava, il 10% la cittadinanza rumena, con meno di 1.000 cittadini a rischio apolidia. Numeri che fanno registrare, come si diceva, una riduzione importante delle presenze negli insediamenti negli ultimi 5 anni. “Le cause vanno ricercate nel desiderio delle nuove generazioni residenti nei “campi” di intraprendere un percorso di fuorisucita autonomo - spiega l’associazione 21 luglio -; le azioni di sgombero forzato che hanno spinto molte famiglie alla dispersione sul territorio; il ritorno nel Paese di origine per i cittadini comunitari; il processo virtuoso di alcune amministrazioni locali verso il superamento dei campi rom”. Alla luce di questi numeri, aggiunge il rapporto, “se fosse confermata la stima del Consiglio d’Europa di una presenza di persone rom in Italia pari a 180.000 unità, si potrebbe affermare che allo stato attuale, nel nostro Paese, meno di 1 cittadino rom su 10, può essere identificato come un abitante del “campo”. Una verità – secondo Associazione 21 luglio – destinata da sola a smontare un caleidoscopio di leggende urbane ancorate a stereotipi e pregiudizi”. Secondo l’associazione, da Ferrara a Palermo, da Olbia a Siracusa, sempre più amministrazioni locali hanno dimostrato “consapevolezza sull’importanza di porre fine a tali spazi di segregazione etnica”. Nonostante l’ultima realizzazione di un insediamento per soli rom nel comune di Afragola nel 2018, nel periodo compreso dal rapporto, risultano essere stati superati 4 insediamenti nei Comuni di Firenze, Cerea, Porto Torres e Roma. Sono invece ben 15 i “campi rom” le cui azioni di superamento dovrebbero concludersi nei prossimi 18 mesi. “Tali esperienze, con i loro successi e fallimenti - spiega l’associazione 21 luglio -, aprono nuove strade verso la chiusura definitiva della triste stagione dei “campi rom” e andrebbero supportate da una nuova Strategia Nazionale per l’Inclusione dei rom che dovrà risultare più incisiva e vincolante”. In questo contesto, tuttavia, non si arrestano ancora le azioni di sgombero forzato. “Malgrado il Decreto Legge n.18 del 17 marzo 2020 prevedesse ‘una moratoria delle esecuzioni degli sgomberi a causa dell’emergenza pandemica’ non si sono arrestate in Italia le azioni di sgombero forzato nei confronti delle comunità rom presenti negli insediamenti informali - spiega l’associazione -. Tra il gennaio del 2020 e il giugno del 2021 sono state ben 70 (35 nel Nord Italia, 24 nel Centro e 11 nel Sud Italia) in calo del 52% rispetto al 2019. Si segnala il forte peso specifico riconosciuto alle azioni organizzate dal Comune di Roma, con ben 17 sgomberi effettuati, un quarto di quelli registrati su scala nazionale”. Nel periodo segnato dalla pandemia da Covid-19, inoltre, secondo l’associazione sono state portate a termine le due azioni di sgombero più violente: “Quella realizzate a Roma (insediamento del Foro Italico sgomberato l’11 agosto 2020) e a Torino (insediamento di Germagnano esterno sgomberato il 20 agosto 2020). Non è un caso che le due città siano le uniche nelle quali sia prevalente l’approccio etnico con un Ufficio Speciale dedicato alla ‘questione rom’ in seno all’amministrazione e un Piano rom espressamente rivolto alle comunità riconosciute come tali”. Nel periodo dell’emergenza da Covid-19, tuttavia, per l’associazione 21 luglio si è assistito a una “accelerazione del processo di riflessione sulla necessità di superare gli insediamenti monoetnici, riconosciuti ormai da tutti come troppo impegnativi economicamente e lesivi dei diritti fondamentali”. “Mai come in questo momento risulta fondamentale – sostiene Carlo Stasolla, presidente di Associazione 21 luglio – dare impulso a processi virtuosi, chiudere Uffici Speciali, sostenere le famiglie che da questi ghetti vogliono uscire, facilitare l’accesso a servizi ordinari. La battaglia, anzitutto culturale, che da più di un decennio Associazione 21 luglio sta conducendo per la fine di questa ‘vergogna nazionale’ denominata ‘sistema campi’ sta andando nella giusta direzione e nei prossimi anni risulterà decisivo l’intervento del governo centrale al fine di sostenere amministrazioni locali, troppo spesso isolate nell’affrontare questa sfida che, se vinta, consentirà al Paese di chiudere finalmente una buia parentesi storica che parla il linguaggio dalla discriminazione e l’esclusione sociale”.Giovanni Augello