#iorestoacasaepenso. Quaresima, quarantena? Somiglianze e differenze. Risponde don Raffaele Gobbi
C’è la persona immunodepressa a causa di pesanti terapie: deve vivere blindata in casa tra mille precauzioni. C’è chi, in attesa di giudizio, è sottoposto agli arresti domiciliari per mesi e mesi.
Migliaia di persone vivono stipate e rinchiuse in campi profughi dalle condizioni disastrose.
Stare in quarantena dice grosse privazioni e pericoli molto gravi, come quelli citati. In fondo la maggioranza di noi, in questa quaresima così inusuale e sfidante, non può paragonarsi a situazioni del genere.
Stare in casa è un’occasione in più per accogliere quanto annunciato il Mercoledì delle Ceneri: digiuna, sii carità e prega «il Padre tuo, che è nel segreto; e il Padre tuo, che vede nel segreto, ti ricompenserà» (Mt 6,6). «Segreto» ritorna in quel brano per sei volte a dipingere un orizzonte contemplativo, interiore, discreto ma non chiuso, né limitato e bloccato, come invece il termine «quarantena» evoca. Più che quarantena, si tratta di abitare con intensità il «segreto», la profondità di sé, delle relazioni, di Dio in noi.
- Per chi prega nessun luogo è off limits, estraneo. Questa quaresima inedita sollecita spazi di interiorità da coltivare personalmente, in e come famiglia (senza dipendere dagli input, fin troppo numerosi, che giungono via streaming, whatsapp, facebook ecc). E inoltre quanto di più intimo c’è, come la preghiera, può e deve dilatarsi e abbracciare il mondo intero. La Chiesa in questo senso ha voluto che una monaca di clausura – Teresa di Lisieux – fosse la patrona delle missioni.
- La carità è creativa. Siamo lontani fisicamente dai consueti contatti sociali e da una quotidianità a volte frenetica: troviamo quindi una nuova grammatica della prossimità e della solidarietà! Penso alle famiglie con figli piccoli che faticano molto a stare tappati in casa; al logorio di coppie che per la continuativa forzata convivenza alla fine traballano; alla solitudine ancor più pesante degli anziani; ai senza dimora ancor più abbandonati. Largo alla fantasia della solidarietà: con i mille modi di comunicare che abbiamo, poi!
- Lasciare è per trovare, il digiuno è per scovare l’essenziale. Andare oltre consuetudini e abitudini, anche nelle celebrazioni, per capire quanto siamo cristiani consapevoli, in grado di custodire il dono della fede anche in questo momento di deserto. Per scoprire Chi e Cosa ci manca. È allora un digiuno che ci fa toccare con mano che “ci si salva insieme”, nella forza e bellezza di essere un’unica famiglia umana.
don Raffaele Gobbi, direttore Ufficio diocesano di Pastorale della Missione
30 marzo 2020