Una polarizzazione dannosa. La politica che non sa convergere sul bene comune
Non si tratta di annullare le differenze e di confondere le responsabilità, ma di saper convergere nell’interesse generale del Paese
Il pluralismo è una condizione essenziale della democrazia, così come lo è il confronto tra opzioni e soggetti diversi. Secondo alcuni studiosi, il governare attraverso il confronto è proprio la dinamica che caratterizza il costituzionalismo moderno. Se invece c’è un soggetto che si sente legittimato a decidere per tutti, magari come interprete esclusivo del “popolo sovrano”, allora non siamo più in un contesto autenticamente democratico, anche se all’apparenza vengono rispettate delle procedure che a quel contesto astrattamente si riconducono. In una fase storica in cui quelle che vengono pudicamente definite “autocrazie”, insieme a regimi palesemente dittatoriali o addirittura totalitari, fanno sentire tutto il loro peso nelle vicende internazionali con le conseguenze tragiche che abbiamo davanti agli occhi, pluralismo e confronto sono valori che vanno difesi e orgogliosamente rivendicati. Ma proprio a partire dalla consapevolezza sincera di questi valori, una democrazia matura dev’essere anche in grado di esprimere uno spirito unitario qualora le concrete situazioni storiche lo richiedano. Non si tratta di annullare le differenze e di confondere le responsabilità, ma di saper convergere nell’interesse generale del Paese. La nostra Repubblica ha dimostrato più volte di avere nel suo Dna questa capacità che però negli ultimi tempi sembra essersi andata progressivamente spegnendosi. Il voto sullo scostamento di bilancio – che pure in un recente passato era stato occasione di sostanziali accordi tra maggioranza e opposizione – ha segnato invece una netta contrapposizione. Neanche sul Medio Oriente, nonostante i tentativi messi in campo da più parti, è stato possibile arrivare a una mozione unitaria in Parlamento. E questi sono soltanto gli esempi più clamorosi. Sarebbe un esercizio sterile sforzarsi di attribuire in modo specifico a questo o a quel partito, a questo o a quello schieramento, la colpa di tale deriva. Certo, chi in una determinata fase storica esprime la maggioranza parlamentare e il governo si ritrova anche ad avere una superiore responsabilità in questo senso. E l’esecutivo in carica sente sistematicamente il bisogno di marcare ideologicamente le differenze. Ma non è “cerchiobottismo” ricordare che per convergere bisogna essere almeno in due e quindi le opposizioni non possono chiamarsi fuori. Anche nel loro caso le rigidità ideologiche si fanno sentire costantemente e in modo spesso decisivo. In entrambi gli schieramenti, del resto, è in atto una spregiudicata competizione interna che finisce per premiare non le posizioni più ragionevoli e costruttive, ma quelle che alzano la voce o la sparano più grossa. Purtroppo la polarizzazione estremistica della politica non riguarda soltanto il nostro Paese. E’ un fenomeno epocale che sta mettendo in discussione le basi stesse delle democrazie. A breve, però, la sensazione è che ancora una volta quasi tutto – compresa la legge di bilancio – sia condizionato dalle scadenze elettorali, soprattutto dal voto europeo del prossimo giugno. A furia di ripeterlo si rischia di diventare noiosi, ma se non lo si tiene sempre presente ci si preclude la comprensione di quanto sta avvenendo sul piano politico.