Una crisi improvvida. Demagogia e campagna elettorale, mentre il mondo non ci aspetta
Non c'è soltanto il folclore dell'inedita campagna balneare a documentare la sfasatura della politica nei confronti dei tempi della società.
Il deposito dei contrassegni elettorali è fissato proprio alla vigilia di Ferragosto. Le immagini della fila al Viminale sotto il solleone saranno probabilmente la testimonianza più pop e – sia detto con tutto il rispetto per le procedure che conducono al voto – persino un po’ grottesca di quanto sia stata insensata la brusca interruzione della legislatura. Ma non c’è soltanto il folclore dell’inedita campagna balneare a documentare la sfasatura della politica nei confronti dei tempi della società. Il dato oltre le attese sulla crescita economica nel primo semestre dell’anno – pur letto con la prudenza che bisogna sempre esercitare in questi casi – rivela una vitalità della struttura produttiva che ci pone all’avanguardia in Europa. Del resto gli italiani continuano a dichiarare – almeno stando ai sondaggi più accreditati – un apprezzamento maggioritario e trasversale per il governo Draghi, talvolta persino in contraddizione con le intenzioni di voto che gli stessi sondaggi registrano, se è vero che al momento le rilevazioni premiano alcune delle forze che hanno fatto cadere l’esecutivo o che sono state all’opposizione. Eppure governo e Parlamento – dimissionario il primo, sciolto il secondo – hanno manifestato anche in queste settimane una capacità d’iniziativa che avrebbe meritato miglior sorte. Il punto è che la nozione di “affari correnti” – con cui si circoscrive il perimetro delle competenze degli organismi istituzionali nei periodi di proroga – ha assunto in questo frangente dimensioni eccezionali, dilatandosi ben oltre l’ordinaria amministrazione, per far fronte alla serie di emergenze che investono il Paese, dalla guerra alla crisi energetica, dalla pandemia all’inflazione, e per dar seguito agli impegni assunti con il Pnrr. E’ un’ulteriore dimostrazione di quanto sia stato improvvido innescare una crisi di governo in questo momento. Tanto più che il nuovo esecutivo, sempre ammesso che il voto del 25 settembre fornisca un responso inequivocabile, realisticamente non potrà insediarsi prima del 7 novembre, nel bel mezzo di un autunno che si preannuncia molto difficile sotto tutti i profili e con l’urgenza di varare in tempi strettissimi la legge di bilancio. Il mondo nel frattempo non sarà rimasto fermo ad attenderci. La dimensione internazionale ha una rilevanza sempre più decisiva nelle scelte politiche e su questo terreno emergono ambiguità e contraddizioni persino inquietanti. Del resto è la stessa campagna elettorale nel suo complesso a muoversi su registri prevalentemente demagogici, sganciati dalla verità effettuale delle cose. Anche quando si parla di programmi, in realtà si tratta di qualche slogan e poco più, mentre – per dirla con il cardinale Zuppi – bisognerebbe “pensare alla sofferenza delle persone e garantire risposte serie, non ideologiche o ingannevoli, che indichino anche, se necessario, sacrifici, ma diano sicurezza e motivi di speranza”. Un impegno per coloro che si candidano a governare il Paese, ma anche per coloro che nelle urne sono chiamati a scegliere senza farsi sedurre da pifferai e prestigiatori.