Tutti parlano, la confusione aumenta. Sono infinite le discussioni sul mondo della scuola in questo periodo di pandemia
Parlano tutti. Chi insiste sulla didattica a distanza “a oltranza”, chi sostiene la necessità di tornare nelle aule a dicembre, chi invece ritiene che sarebbe solo l’occasione per fare la foto di fine anno.
Si racconta, in una redazione lombarda, che un grande giornalista, direttore, solesse usare una battuta per sottolineare le confusione di tanti interventi e opinioni su un determinato argomento: “Parlano tutti”. La diceva in dialetto lombardo – dandole un’efficacia esponenziale che forse si perde usando l’italiano – e rimarcando con bonomia come di fatto ciascuno si prendesse la briga di dire la sua, alimentando una ridda di voci dove alla fine si perdeva il filo del discorso.
Viene in mente questo aneddoto a proposito delle discussioni sul mondo della scuola in questo periodo di pandemia. Parlano tutti. Chi insiste sulla didattica a distanza “a oltranza”, chi sostiene la necessità di tornare nelle aule a dicembre, chi invece ritiene che sarebbe solo l’occasione per fare la foto di fine anno, chi indica come data del rientro – parliamo sempre delle superiori – i primi giorni di gennaio. E poi c’è chi sottolinea la necessità dell’alternanza, degli ingressi scaglionati, delle lezioni al pomeriggio, magari anche al sabato e/o alla domenica.
Insomma, c’è davvero una gran confusione. Con qualche punto fermo: la scuola sospesa – intendendo per scuola quella vera, cioè l’esperienza reale di incontro e scambio di relazioni, competenze, sguardi, contatti e chi più ne ha più ne metta, cioè quella che avviene negli istituti e nelle aule, tra studenti e docenti, tra ragazzi e ragazze, tra generazioni – è un danno in particolare per i più giovani (ma non solo). La necessità di tornare nelle aule per quanti si sono visti costretti alla “Dad” è sempre più urgente. La pandemia – ecco l’altra faccia della medaglia – impone indubbiamente scelte difficili e la chiusura delle superiori rientra in questo ambito. Quale sia il rapporto costi/benefici della strada intrapresa è anche questo uno di quegli argomenti su cui si dibatte all’infinito.
Intanto chi vuole può seguire su Instagram – eh sì, i social ormai sono una via di comunicazione ufficiale – le risposte della ministra Azzolina agli studenti che pongono domande: sul rientro a scuola, sulla maturità, sui banchi a rotelle, sui “sogni” del titolare di Viale Trastevere (“Il più grande è sicuramente quello di vedervi tutti tra i banchi il prima possibile”), così come sui trasporti, che in questa fase sembrano essere un anello debolissimo della catena.
Dando per scontati i punti fermi detti e le discussioni in atto, c’è anche qualcos’altro di cui parlare (sia pure solo per un cenno, almeno per ora) a proposito di scuola. Si tratta dell’arrivo dei giudizi descrittivi al posto dei voti numerici nella valutazione intermedia e finale della scuola primaria. Basta voti, ma ai docenti toccherà di compilare un giudizio articolato per far sì che la valutazione degli alunni – spiega il Ministero – sia sempre più trasparente e coerente con il percorso di apprendimento di ciascuno. Il giudizio descrittivo sarà riportato nel documento di valutazione e riferito a quattro differenti livelli di apprendimento: Avanzato, Intermedio, Base, In via di prima acquisizione.
I livelli di apprendimento – spiega sempre il Ministero – saranno riferiti agli esiti raggiunti da ogni alunno in relazione agli obiettivi di ciascuna disciplina. E naturalmente nell’elaborare il giudizio descrittivo si terrà conto del percorso fatto e della sua evoluzione.
Una provocazione: il dibattito voti/giudizi (con relative partigianerie) dura da tanti anni e nella scuola si è già sperimentato molto. La questione è certamente importante, ma… proprio adesso?