Troppa leggerezza. I ragazzi devono imparare che le azioni hanno sempre una direzione e delle conseguenze
Ci restano nel cuore le immagini dei tre giovani che, in una notte piovosa a Roma, hanno incrociato tragicamente i propri destini.
L’anno trascorso si è chiuso scuotendo gli animi.
Ci restano nel cuore le immagini dei tre giovani che, in una notte piovosa a Roma, hanno incrociato tragicamente i propri destini. Gaia, Camilla e Pietro avrebbero potuto essere figli nostri e la loro storia non ci ha lasciato indifferenti.
Sui socialmedia la vicenda è rimbalzata, in qualche caso si è prestata a facili sensazionalismi, o a giudizi troppo emotivi e riduttivi. Anche sulle chat degli smartphone degli adolescenti, che in questa storia non hanno avuto voce “ufficiale”, quei tre nomi hanno riecheggiato per giorni. La drammaticità dei fatti ha commosso, turbato e indotto a riflettere.
Cosa resterà di questa tragedia? Pensare che i volti belli e freschi di Gaia e Camilla, strappate precocemente alla vita, possano diventare un monito per i loro coetanei potrebbe accendere nei cuori un lieve conforto. Aprirebbe un piccolo varco alla speranza.
La storia dei tre ragazzi è stata raccontata con molte varianti. Difficile stabilire con precisione come i fatti siano andati realmente. Ciò che però emerge in tutte le versioni riportate è l’equivoco che sta al fondo di questa epoca che tutti attraversiamo e che ci rende, a momenti alterni, vittime e carnefici di noi stessi. Si tratta di un orribile fraintendimento che porta costantemente a confondere la leggerezza con la superficialità.
Sembra innocua la superficialità. La filosofia del “cosa vuoi che sia”. La trasgressione del “chissenefrega”. E invece la superficialità uccide e devasta e in quella terribile notte ne abbiamo avuto l’ennesima riprova.
Quindi in questo inizio d’anno, come fosse un buon proposito, è il caso di tornare a interrogarsi sulla differenza tra leggerezza e superficialità con la consapevolezza che il guasto non risiede nelle giovani generazioni: l’avaria, infatti, è tutta nostra, di noi adulti educanti.
Sulla “leggerezza” si è espresso Italo Calvino alla fine degli anni ’80 nella prima delle sue Lezioni americane, destinate all’Università di Harvard: “Prendete la vita con leggerezza. Che leggerezza non è superficialità, ma planare sulle cose dall’alto, non avere macigni sul cuore”, scriveva.
La riflessione dello scrittore è stata prontamente iconizzata nel XXI secolo. Ma la citazione, seppure illuminante, non sintetizza affatto tutto l’approfondimento in cui è immersa nello scritto originale. Nella “lezione” Calvino ci parla del “sottrarre peso” alla realtà non affinché essa svanisca e perda di senso, ma proprio per conferirle l’opportunità di restare autenticamente “a galla” nel mare magnum dell’umano vivere. Nello scritto Calvino cita di rimando Paul Valéry: “Il faut etre léger comme l’oiseau, et non comme la plume [Si deve essere leggeri come l’uccello che vola, e non come la piuma]”. L’idea si rifa a una leggerezza, quindi, di cui siamo “padroni” e che non ci tiene in “balìa”.
Noi uomini del XXI secolo, invece, abbiamo invocato la leggerezza e l’abbiamo svuotata di significato per fare il gioco dello struzzo. La fascinazione del nulla come contraltare alla sostanza del vivere, alle decisioni da prendere, alle responsabilità da assumersi… In breve, a tutto ciò che ci mette in crisi perché ci chiede di rintracciare nel nostro percorso la “verità” che ci riguarda.
Tornando alle vite spezzate delle due ragazze e al trauma del giovane alla guida del Suv, non basterà raccontare la loro storia ai nostri figli per evitare che commettano scelleratezze simili, come attraversare di notte con la pioggia una strada a percorrenza veloce nonostante il semaforo rosso, o mettersi alla guida dopo una serata di eccessi. Non basterà, se non sapremo capire che la fatalità risiede nella mancanza di attenzione prima di tutto verso noi stessi e nell’assenza del senso della giusta prospettiva.
Le nostre azioni hanno una sempre una direzione e degli effetti. Il grave guasto è quando non riusciamo a valutarli con responsabilità, perché nessuno ha avuto fino in fondo la forza di insegnarcelo.