Tra il non più e il non ancora... Un prete lascia. E siamo tutti invitati a riflettere
Domenica scorsa alle comunità dell'unità pastorale di Vigonza è stato annunciato il desiderio di un periodo di sosta e riflessione per don Mauro Da Rin Fioretto. Nessuno scandalo, nessuna fuga. Ma c'è da fare una riflessione sul futuro delle nostre parrocchie.
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Vorrei salutarlo così, don Mauro Da Rin Fioretto, sperando che la pausa richiesta e ottenuta non sia troppo lunga. “Tra il non più e il non ancora” è il titolo che aveva scelto, una volta tornato dall’Ecuador, per raccontare sulla Difesa il suo nuovo impegno alla guida di un’unità pastorale complessa come quella di Vigonza.
Domenica scorsa alle comunità è stato annunciato il suo desiderio di un periodo di sosta e riflessione. Nessuno scandalo, nessuna fuga, men che mai una “scomparsa nel nulla”. Certo, però, la notizia non poteva non colpire.
La fatica dei preti, e dei parroci in particolare, non è una novità. Ma ogni volta che si arriva al “punto di rottura” ce ne meravigliamo, forse perché – nonostante tutto – continuiamo a guardare loro come a dei modelli, a delle guide. Colpa delle troppe cose da fare? Credo sia una considerazione ormai scontata.
Ma non mi fermerei qui. Prima e più a fondo ancora, penso che giochi un’altra fatica: quella di definire con chiarezza il senso della propria missione, l’identità del prete. E, di riflesso, quella della comunità in cui opera. Di cui è a servizio.
Ma per fare cosa? Con che stile? Con che orizzonte davanti? Con chi? Cos’è, oggi, la comunità?
Non sono solo i preti, in fondo, a “lasciare”. Né solo loro faticano a metabolizzare i cambiamenti. Quanti laici, a un certo punto, sentono il bisogno di fermarsi dopo anni di impegno pastorale? Quante catechiste hanno faticato a comprendere la nuova iniziazione cristiana? Quanti soffrono a staccarsi dal tradizionale campanilismo per vivere in unità pastorale? Situazioni diverse, certo, ma che sono indici di un’inquietudine reale, che ci accomuna al di là dei ruoli e dei ministeri. La riflessione sul futuro della parrocchia, che è iniziata l’anno scorso e torna nei nuovi orientamenti pastorali, centra perfettamente il problema. Tra il non più e il non ancora – per tornare al titolo – può esserci un limbo immobile e paralizzante, o può esserci lo spazio creativo di una Chiesa capace di ripensarsi nelle forme e nello stile della sua azione pastorale. Abbiamo di fronte un anno di lavoro: usiamolo bene.