Smettiamo di essere il Paese malato di futuro
Ci sono svariati motivi, e sempre più fondati – purtroppo – che alimentano il pessimismo sul futuro nostro. La questione sociale e ambientale potrebbe avere un’accelerazione con il ritorno alla normalità paventata dai politici, che si stanno riappropriando dei soliti linguaggi propagandistici, tipo: «Torniamo a crescere!».
E dire che eravamo rimasti là, al centro di una crisi in cui ci trovavamo già nel 2010, con l’Europa madre-matrigna (e l’esempio della Grecia nei ricordi). Eravamo in piena crisi, ma forse ce lo siamo già scordati?! Con il Covid semmai, siamo sprofondati ancor più giù.
La ciambella di salvataggio dovrebbe essere il recovery fund, che preferiremmo chiamare “fondo di sostegno”, sapendo che chi è nel bisogno preferisce non sentirsi dire di essere sul lastrico. Passi pure il tecnicismo, ma la pioggia di finanziamenti annunciati potrebbe trasformarsi in una tempesta perfetta. Non che manchino le necessità, basta pensare alle pressanti richieste dei vari settori che “elemosinano” i ristori tanto attesi per sopravvivere. Ma non scordiamoci alcune cose che sono già pericoli cronicizzati di casa nostra. Siamo un Paese ad alta densità mafiosa. Ad alta corruttibilità. Ad alta fragilità territoriale. Ad alta densità abitativa. Ad alta burocrazia che facilita di fatto la prima voce. Ad alto rischio sismico. Ad alto consumo del territorio. Ad alto tasso d’inquinamento (la Pianura Padana svetta in Europa). E se volete, ad alto “disinteresse” verso la salute stessa dei cittadini, con il rispetto delle “eccellenze” che abbiamo: la crisi pandemica ci ha mostrato con grande evidenza i nervi scoperti del sistema sanitario nazionale e regionale, che aveva preso la china della privatizzazione, sacrificando il pubblico, che si sta ora invocando. La storia ci mostrerà le responsabilità!
Fatto questo decalogo dei panni sporchi, va sommata la premessa del nostro super Mario Draghi, tornato pure lui a sbandierare l’anestetico nazionale: «Usciremo dalla crisi e torneremo a crescere». È naturale interrogarsi se, dietro l’angolo non vi sia il rischio della grande abbuffata. Chiediamoci cosa penserà la “mafia dei colletti bianchi” di tutto ciò. Con tutto quel ben-di-Dio che abbiamo da risanare, pensiamo a nuove infrastrutture? Ci dicono di utilizzare gli incentivi, e siamo sommersi dalla burocrazia: Dante aggiungerebbe un nuovo girone infernale.
Solo nell’ultimo semestre poi, i costi nazionali (materie prime) sono cresciuti del 20-30 per cento. Siamo il Paese del tutto (cultura, arte, stile, gusto, bellezza, ecc.), che potrebbe vivere di ciò, se lo sapesse presentare e far fruttare. Invece cosa ci offrono? Un futuro di crescitacrescente. Ecco perché la speranza è quella di sbagliarsi, quando si pensa che siamo e restiamo un Paese radicalmente malato di futuro.