Scuola e Covid, “questo tempo va metabolizzato, non sfuggito”
Parla Stefano Versari, direttore dell’Ufficio scolastico regionale dell’Emilia-Romagna che, tra indagini epidemiologiche, piccoli gruppi d’apprendimento e digital divide lancia un appello: “Gli adulti che vogliono cancellare il tempo in cui viviamo perché ‘brutto’ stanno massacrando i nostri giovani”
Tra 14 settembre e 31 ottobre i contagi tra i 600 mila studenti delle scuole dell’Emilia-Romagna sono stati 2 mila; 383 i contagi tra i docenti. “Numeri contenuti – constata Stefano Versari, direttore dell’Ufficio scolastico regionale –, ma la gestione dei contatti era e continua a essere impegnativa”. Tra i problemi più seri della gestione sanitaria scolastica, non tanto i contagi, quanto i “pseudocontagi”, vale a dire le quarantene prudenziali per chi ha avuto contatti con persone risultate positive al coronavirus. “La sanità, oggettivamente, sta facendo miracoli. Nelle flowchart realizzate prima dell’avvio dell’anno scolastico era tutto molto chiaro: tra le voci, naturalmente, era prevista l’indagine epidemiologica. Che, nei primi mesi, ha funzionato. Ma quando i casi si sono moltiplicati, è diventato un passaggio complesso, anche a livello di tempistiche”. Con indagine epidemiologica si intende il confronto con il diretto interessato, per capire quando è andato a scuola, con chi è stato e quanto a lungo: “Se ci si limita a quanto avviene nella scuola, è semplice, perché vige il più rigoroso rispetto delle regole anti-contagio. Poi, però, se si va a vedere meglio, le cose si complicano: i maggiorenni che vengono a scuola in macchina insieme senza mascherina, gli assembramenti, il distanziamento violato. Per riaprire le scuole è cruciale contenere i contagi all’esterno: ben vengano ingressi e uscite scaglionati, ma se tutti non impariamo a indossare sempre le mascherine e a mantenere le distanze le condizioni idonee non si creano”.
Il nodo trasporti
Intanto, proprio in queste ore, la politica sta discutendo di una possibile ripartenza delle scuole anche prima di Natale. “Se così fosse, noi saremmo pronti. Lo eravamo prima, lo siamo anche oggi. Ma attenzione: noi facciamo i conti con la capienza dei mezzi pubblici del mese scorso, ovvero all’80 per cento. Se le regole dovessero cambiare, se la percentuale sarà ridotta, si renderà necessaria una nuova discussione”. Nel primo periodo di scuola integrata, infatti, uno dei principali problemi è stato quello del trasporto, con i mezzi spesso affollati: “I tavoli di confronto con enti locali e aziende per i trasporti sono sempre aperti, in modo da riuscire in tempo utile a far fronte a eventuali necessità di una ulteriore riorganizzazione. Il nostro compito è creare le condizioni per andare a scuola in sicurezza sulla base delle regole imposte dal decisore politico”.
I piccoli gruppi d’apprendimento
Tra chi, in questo secondo (parziale) lockdown, frequenta la scuola in presenza – a differenza del primo lockdown – oltre altri studenti impegnati in attività laboratoriali, ci sono gli studenti con una certificazione di disabilità grave: “Questa possibilità è fondamentale, per gli studenti, per i familiari, per gli insegnanti, per il contesto. Naturalmente, non era ipotizzabile creare classi, sebbene ridotte, per soli studenti con disabilità, avrebbe significato riproporre classi differenziate: così sono nati questi piccoli gruppi di apprendimento. Per evitare numeri troppo grandi, abbiamo precisamente seguito le indicazioni del legislatore: non tutti i ragazzi con disabilità hanno necessità di frequentare in presenza, ma per altri è condizione imprescindibile. Penso, per esempio, agli studenti con sindrome di Down e ai ragazzi con autismo. Bambini e adolescenti con sindrome di Down hanno bisogno del contatto umano, di relazioni affettive. Per i ragazzi con un disturbo dello spettro autistico è importante continuare a vivere un ambiente che conoscono, diverso da quello familiare: il rischio, se così non fosse, sarebbe quello di una regressione totale”.
Il digital divide
Tra gli altri temi sul tavolo, il digital divide, esploso in tempo di didattica a distanza, prima, e di didattica integrata, poi. “Attenzione – ammonisce Versari –: non pensiate che sia possibile risolvere tutto dando un computer a chi non ce l’ha. Il digital divide è un problema enorme, con radici profonde”. Il primo passo lo deve fare l’amministrazione pubblica, affinché tutte le scuole siano connesse: in regione è il compito di Lepida, che ha già portato la fibra ottica nell’80 per cento dei plessi: “Certo si può sempre fare meglio e di più, ma siamo un situazione ottima”, ammette il dirigente, che sottolinea anche come, costantemente, siano assegnate agli enti locali risorse per l’acquisto di device digitali. “Quand’anche tutti avessimo un pc, non avremmo risolto il problema: la dimostrazione arriva da un subindicatore dei test Invalsi”. Tra gli indicatori degli Invalsi, infatti, c’è l’ESCS (Economic, Social and Cultural Status) che definisce lo status sociale, economico e culturale delle famiglie degli studenti che partecipano alle Prove e ad altre ricerche internazionali. L’indicatore ESCS si compone di tre elementi che valutano diversi aspetti delle condizioni socio-economiche e culturali: lo status occupazionale dei genitori; il livello d’istruzione dei genitori espresso in anni d’istruzione formale seguita calcolati secondo standard internazionali; il possesso di alcuni beni materiali intesi come variabili di prossimità di un contesto economico-culturale favorevole all’apprendimento. Ed è a questo terzo elemento che Versari fa riferimento: guardando all’Emilia-Romagna, è emerso che circa 110-120 mila studenti vivono in condizioni casalinghe sfavorevoli all’apprendimento, con ogni probabilità inadatte alla dad. “I dati su cui noi ci muoviamo parlano di circa 35 mila studenti in condizioni di grande fragilità economica – ricostruisce Versari –. E tutti gli altri 90 mila? Ecco perché ribadisco l’inutilità di consegnare computer a pioggia”. Versari propone di intraprendere una nuova direzione, forte dell’esperienza passata: “Questo tempo ci ha insegnato che le persone hanno bisogno di spazi di comunità e socialità in prossimità del territorio. Penso al ricreatorio di una volta, per esempio, uno spazio vicino a casa, nato per sostenere gli studenti e consegnar loro gli strumenti per studiare e giocare. Anche oggi è necessario ripartire dagli spazi di socialità diffusa e distribuita, questi sì da attrezzare con tutti i device del caso. Colgo l’occasione per sottolineare un aspetto importante: serve promuovere una scuola aperta, in piena connessione con l’esterno. Un tempo si voleva la scuola monade, adesso le si chiede di risolvere ogni problema, anche di ordine sociale o sanitario. Non è possibile, la scuola non può fare tutto: deve esserci estrema collaborazione”.
Un richiamo ai genitori
“Non possiamo educare i nostri ragazzi a pensare che esistano avventure che siano solo sventure da sfuggire prima possibile. Tutto quello che ci accade dev’essere ricondotto a un senso per riuscire quantomeno a metabolizzarlo. Stiamo lavorando per dare un senso alla vita dei nostri studenti in questo momento, sarebbe devastante che i bambini e i ragazzi pensassero che il tempo dei loro genitori abbia un senso mentre il loro no. Per questo ci sono risorse per consulenze e sostegno agli studenti”. Versari chiede che questo momento, sicuramente molto difficile, sia vissuto e analizzato: “Trovo inaccettabile che si dica che questa generazione dovrà essere recuperata. Cosa c’è da recuperare? I nostri ragazzi non hanno perso, hanno vissuto e sofferto. Non saranno disgraziati per questo, saranno più semplicemente ciò che noi li avremo aiutare a essere, ciò che avranno scelto di diventare.
Gli adulti che voglio cancellare il tempo in cui viviamo perché ‘brutto’ stanno massacrando i nostri giovani. Questo non è un ‘non tempo’: è un tempo da affrontare”.
Ambra Notari