Rinnovabili. Milano: “Al ritmo attuale neanche nel 2070 l’Italia diventerà una ‘Repubblica energetica’”
“Il nostro Paese è ancora fortemente dipendente dai combustibili fossili, sussidiati annualmente con oltre 21 miliardi di euro. Ad oggi appena il 20% dell'energia italiana è prodotta da fonti rinnovabili, con una produzione annua che non supera i 2 GW”: è la fotografia che offre al Sir il segretario generale di Greenaccord
Il nostro Paese, un tempo all’avanguardia, sulle energie rinnovabili, negli ultimi anni ha segnato il passo. Tra i problemi, ostacoli burocratici e culturali. Eppure, anche alla luce dei problemi relativi alle forniture di gas e petrolio che interessano l’Europa e l’Italia in conseguenza dell’invasione russa in Ucraina, sarebbe necessario puntare di più su fonti alternative. Ne parliamo con Giuseppe Milano, segretario generale di Greenaccord onlus.
La crisi energetica, causata dalla guerra in Ucraina e dalla volontà di rendersi indipendenti dalla Russia, che ricadute avrà in Italia?
Nell’auspicio, prima di tutto, che i negoziati riprendano presto perché la pace è l’unica risposta possibile,
le crisi – prima quella pandemica ed ora quella bellica – confermano la fine della globalizzazione per come l’abbiamo conosciuta negli ultimi 20 anni e impongono ai singoli Paesi – e, quindi, anche all’Italia – di definire inedite politiche energetiche incardinate sulle rinnovabili e di approvvigionamento delle materie prime, i cui costi sono infatti in aumento, dopo averne delocalizzato la produzione e il consumo.
Si pensi al grano che oggi non è più italiano, come negli scorsi decenni. Bisogna sostenere il “made in Italy”, ma favorendone urgentemente la conversione ecologica e l’innovazione.
Sulle energie rinnovabili, anche rispetto agli altri Paesi europei, il nostro Paese è all’avanguardia?
Lo è stato una decina d’anni fa. Poi ci siamo fermati, privilegiando, soprattutto, il gas russo, oggi sostituito, in parte, da quello algerino o libico. Il nostro Paese è ancora fortemente dipendente dai combustibili fossili, sussidiati annualmente con oltre 21 miliardi di euro.
Ad oggi appena il 20% dell’energia italiana è prodotta da fonti rinnovabili, con una produzione annua che non supera i 2 GW: dovremmo aumentarla di almeno dieci volte – come dice Elettricità Futura – se vogliamo conseguire gli obiettivi comunitari al 2030.
L’Italia ha il potenziale per riuscirci, ma la transizione italiana è rallentata dai diversi ostacoli burocratici e culturali ancora presenti che, però, vanno tempestivamente superati. L’iter autorizzativo del primo impianto eolico offshore nel Mediterraneo è durato 14 anni:
a questo ritmo, neanche nel 2070, diventeremmo una “Repubblica energetica”.
Un modello virtuoso è la Scandinavia che potrebbe diventare completamente rinnovabile già entro il 2035, attraverso innovativi progetti di cooperazione transfrontaliera.
La Commissione europea ha varato il nuovo Piano “RePowerEu”. Va nella giusta direzione? Quali i suoi punti di forza?
In attesa della nuova direttiva comunitaria sull’energia rinnovabile, “RePowerEu” rilancia e supera le ambizioni del precedente programma “Fit for 55”: con un budget complessivo di quasi 300 miliardi di euro (225 saranno erogati in prestito) ed entro il 2030, la Commissione europea si propone di soddisfare i consumi energetici totali mediante le rinnovabili nella misura del 45% (invece del 40%); di incrementare il target di efficienza energetica dal 9 al 13%; di produrre 10 milioni di tonnellate di idrogeno verde (importandone una pari quantità); di raddoppiare la percentuale di diffusione delle pompe di calore per integrare la geotermia e il solare termico nei sistemi di teleriscaldamento comunale e di prevedere, inoltre, l’obbligo di installare soluzioni fotovoltaiche sui tetti dei nuovi edifici pubblici e commerciali (dal 2025), ma anche residenziali (dal 2029).
Ci sono elementi di debolezza in “RePowerEu”?
Sono due i punti critici. Il primo: uno stanziamento complessivo di una decina di miliardi di euro per fronteggiare la transizione dai combustibili fossili alle rinnovabili con la previsione di nuove infrastrutture per il gas e il petrolio per l’aumento della produzione domestica e la diversificazione degli approvvigionamenti. Il secondo:
la scelta di dichiarare tutti i progetti di energia rinnovabile, di rete e di stoccaggio come di “interesse pubblico prevalente”, per qualsiasi territorio, con il rischio di indebolire la legislazione ambientale – come la Direttiva Habitat – in nome della semplificazione dei processi autorizzativi delle infrastrutture energetiche.
Periodicamente, nel nostro Paese, si parla di nucleare e di come possa rappresentare una opportunità per ridurre la nostra dipendenza energetica dagli altri Paesi. Cosa ne pensa?
Non sono ideologico su questa materia, sebbene il nostro Paese non abbia ancora individuato il territorio che ospiterà il deposito nazionale delle scorie radioattive che abbiamo ereditato dal passato, ma il nucleare di nuova generazione, basato sulla tecnologia della fissione, prima di una decina d’anni non sortirà alcun beneficio. Una nuova centrale, per la cui costruzione servirebbero diverse centinaia di milioni di euro, non sarebbe pronta prima del 2035.
La ricerca faccia il suo percorso, ma l’Italia oggi non si può permettere di sprecare ulteriori risorse e di perdere ulteriore tempo. Dobbiamo investire e accelerare sulla radicale e multi-settoriale decarbonizzazione della nostra economia.
Il 22 maggio è stata celebrata la Giornata mondiale della biodiversità. Cosa sta facendo il nostro Paese per preservare i suoi delicati ecosistemi?
La recentissima Giornata internazionale delle api è stata l’ennesima buona occasione per denunciare come l’origine antropica dei cambiamenti climatici e l’esponenziale uso dei pesticidi, nonché la riduzione dei campi agricoli con la perdita delle essenze più adatte per gli insetti impollinatori, stiano progressivamente compromettendo lo stato di salute degli ecosistemi globali. L’Italia settentrionale, ricorda l’Agenzia europea dell’ambiente, è il quinto territorio più inquinato al mondo. Eppure, tra le potenze continentali più industrializzate, siamo l’unico Paese che non ha ancora una legge di adattamento ai cambiamenti climatici o di riduzione del consumo di suolo che permetterebbero di gestire in modo più virtuoso l’enorme patrimonio boschivo in aumento – dovuto soprattutto allo spopolamento delle aree interne e più marginali – e di imporre ai sindaci delle nostre città di realizzare le infrastrutture ecologiche necessarie per portare la biodiversità in città. Il successo del convegno internazionale “Nature in mind”, promosso dal Raggruppamento dei Carabinieri forestali insieme ad una pluralità di soggetti come Greenaccord onlus, ha evidenziato, pertanto, non solo l’esigenza di proteggere la flora e la fauna a rischio di estinzione o di intraprendere più innovativi processi di gestione sostenibile delle foreste, ma anche come il diffuso ed eterogeneo patrimonio naturalistico italiano possa rappresentare una opportunità reale per una prosperità inclusiva e generativa in tutto il Paese.