Riforma costituzionale del premierato. Non toccate il presidente
I sistemi istituzionali sono organismi complessi e ogni intervento finisce per avere un impatto più o meno forte su tutto l’insieme
Nel dibattito sulle riforme istituzionali, in particolare sul premierato, quasi tutti tengono a precisare che comunque non saranno toccate le prerogative del presidente della Repubblica o quantomeno non saranno scalfite nella sostanza. Allo stato del dibattito non è chiaro come questo possa materialmente avvenire, perché non basta evitare di modificare gli articoli della Costituzione che direttamente riguardano il presidente: i sistemi istituzionali sono organismi complessi e ogni intervento finisce per avere un impatto più o meno forte su tutto l’insieme.
In qualche caso, peraltro, si ha la sensazione che una riduzione dei poteri del capo dello Stato non sia soltanto un potenziale effetto collaterale delle riforme di cui si discute, ma uno degli obiettivi perseguiti. Il fatto stesso che ci si premuri di rassicurare l’opinione pubblica circa la sorte del presidente in un eventuale nuovo assetto istituzionale, rivela però la consapevolezza di come tra gli italiani (e per la verità anche all’estero) questa figura goda di una stima e di una popolarità largamente maggioritarie. Merito della ponderata architettura della Carta secondo cui il presidente “è il capo dello Stato e rappresenta l’unità nazionale”, con tutta una serie di attribuzioni che nella concretezza delle situazioni storiche gli hanno consentito di sviluppare un ruolo fondamentale nel consolidamento e nella crescita della nostra democrazia. Ma merito anche, nella situazione attuale, del modo in cui l’alta carica è stata interpretata da chi pro-tempore (in una vera democrazia tutti gli incarichi hanno un limite temporale e non solo) è stato chiamato a ricoprirla, Sergio Mattarella. “I cittadini cui sono affidate funzioni pubbliche hanno il dovere di adempierle con disciplina ed onore”, recita l’art.54 della Costituzione. E questo dovere Mattarella lo ha adempiuto e lo adempie in modo esemplare. Non si va lontani dal vero, anche in assenza di specifici sondaggi, se si ritiene che uno degli elementi caratterizzanti della sua popolarità sia legato proprio al senso di profonda dignità con cui viene vissuto l’incarico presidenziale. Un dato che anche per i suoi critici (in una democrazia vera tutti sono criticabili nei modi appropriati) è arduo non riconoscere. Quanto al suo essere super partes, corollario del ruolo di rappresentante dell’unità nazionale, occorre preliminarmente sgombrare il campo da un equivoco: imparzialità non è neutralità. Rispetto ai valori che sono alla base della Costituzione il capo dello Stato non è per nulla neutrale. E’ a quei valori che si ispira Mattarella quando richiama tutti a un confronto politico civile e condanna i falò con le effigi della presidente del Consiglio; quando riafferma il diritto a manifestare liberamente e rileva con amarezza il fallimento dei manganelli con i ragazzi in piazza; quando esprime solidarietà agli agenti aggrediti a Torino e ribadisce fiducia e vicinanza nei confronti della Polizia (per citare tre situazioni in evidenza nelle cronache delle ultime settimane). Certo, dopo ogni dichiarazione pubblica c’è chi cerca di arruolarlo suo malgrado in uno schieramento o in quello opposto, ma come lo stesso Mattarella aveva ribadito per l’ennesima volta nel discorso alla stampa parlamentare del 2019, “il Quirinale non compie scelte politiche”. In quell’occasione egli aveva descritto il ruolo del presidente della Repubblica come quello di un “arbitro” chiamato “al dovere di garantire funzionalità alla vita istituzionale nell’interesse del nostro Paese” e aveva inoltre sottolineato che “l’arbitro non può non richiamare al rispetto del senso delle istituzioni e ai conseguenti obblighi, limiti e doveri”. E’ quello che vale anche oggi.