Quell’insofferenza ai controlli
In una democrazia autentica non esistono organi sottratti a ogni forma di controllo, ma ci sono – ed è fondamentale che ci siano – organi indipendenti dalle maggioranze di turno
Di fronte all’ennesima tragedia sul lavoro o all’ennesimo scandalo per l’uso truffaldino dei soldi della collettività è fin troppo facile, oltre che tardivo, prendersela con i mancati controlli e magari invocare pene più severe ed esemplari. Peccato che talvolta – e forse più spesso di quanto si creda – questo atteggiamento conviva con il suo contrario, vale a dire un’infastidita reattività per i controlli preventivi e per il loro presupposto, che a ben vedere è la stessa cultura della legalità.
Una contraddizione che attraversa obliquamente l’opinione pubblica, sia pure con accenti e livelli di consapevolezza assai variegati, e che purtroppo non incontra un argine efficace sul piano politico, anzi. Talvolta l’ambiguità sconfina in discorsi e atteggiamenti al limite della complicità culturale. L’ambito in cui questa dinamica esplica i suoi effetti più macroscopici è quello fiscale: difficile dimenticare – pur con tutte le spiegazioni e le contestualizzazioni del caso – l’espressione “pizzo di Stato” in bocca a chi ha la responsabilità primaria del governo. Per non parlare della serie infinita di condoni che si è fortemente intensificata nella fase attuale, anche se i precedenti sono numerosi e travalicano le decisioni di questo o quell’esecutivo.
Se c’è poi un campo particolarmente rilevante in cui l’alternanza delle maggioranze non ha portato soluzioni adeguate è quello della burocrazia, intesa nel senso deteriore che a questo termine viene dato nell’uso corrente, laddove etimologicamente esso dovrebbe indicare soltanto l’insieme della pubblica amministrazione. Di provvedimenti che annunciano misure di “semplificazione” sono pieni da anni gli ordini del giorno dei consigli dei ministri e delle aule parlamentari, ma finora (salvo qualche circoscritta eccezione) i risultati non sono stati all’altezza delle aspettative e delle promesse. Con un doppio svantaggio: da un lato, la persistenza dei nodi irrisolti e degli ostacoli strutturali a una gestione efficiente ed equa della macchina pubblica nei rapporti con i cittadini e con le imprese; dall’altro, l’offerta di un alibi fortemente suggestivo per perseverare in comportamenti negativi, quando non esplicitamente illeciti, come se si trattasse di una giustificata reazione di fronte a trattamenti vessatori.
Fin qui il discorso contempla una sostanziale corresponsabilità tra governanti e governati. Ma c’è un profilo della questione in cui il ruolo della politica e dei partiti è chiaramente preminente e riguarda l’atteggiamento nei confronti delle istituzioni di garanzia. In una democrazia autentica non esistono organi sottratti a ogni forma di controllo, ma ci sono – ed è fondamentale che ci siano – organi indipendenti dalle maggioranze di turno. Negli ultimi anni la tentazione di misconoscere il ruolo di queste realtà “terze” rispetto agli schieramenti in campo è diventata molto forte, soprattutto in nome di un’interpretazione demagogica dell’idea di sovranità popolare. Quasi che il consenso espresso direttamente nel momento elettorale (consenso sempre meno numeroso, a onor del vero) potesse assorbire tutte le dimensioni della vita democratica e costituire un criterio esclusivo e assoluto di autorevolezza. Non è così, almeno secondo la nostra Costituzione. Bisognerebbe piuttosto tenere in evidenza che ogni tentativo di delegittimare gli organi di garanzia e di controllo, ma anche soltanto l’esibita insofferenza nei confronti della loro funzione, è un’operazione estremamente pericolosa di per sé e per il messaggio che trasmette ai cittadini.