Quel Natale che non ti aspetti. Nel panorama musicale contemporaneo, da Bob Dylan a John Lennon e Yoko Ono
Il fatto che Natale sia cantato da Dylan, da De Gregori e da Lennon non deve far pensare a isolati paradossi
Il successo di “Happy Xmas (war is over)” di John Lennon e Yoko Ono fece impazzire critici e seguaci dei Beatles anche dopo lo scioglimento: possibile che l’anima “acida” dei quattro baronetti avesse scritto, cantato e condiviso con una artista d’avanguardia nonché sua compagna nella vita, una canzone di Natale? Il sottotitolo, “la guerra è finita” avrebbe dovuto indirizzare verso la giusta interpretazione, perché si era nel pieno del conflitto in Vietnam e la guerra fredda continuava a operare attraverso conflitti locali in Asia meridionale come in Africa centrale, ma anche in America del sud (pochi anni dopo ci fu il colpo militare in Cile che depose il legittimo presidente Allende instaurando una sanguinosa dittatura).
Il successo planetario di Woodstock, con la generazione dei fiori e del “pace e amore”, delle comuni e della fuga dalla vita fatta solo di consumi, aveva creato speranze e utopie. Quel testo in cui si augura un mondo che “speriamo sia buono e senza paure” e si invitano i “gialli” e i “rossi” a smettere ogni guerra è anche profetico: sembra scritto oggi, al tempo, direbbe papa Francesco, della terza guerra mondiale a pezzi.
Ma se è per questo, Bob Dylan ebbe il coraggio, tipico di coloro che ormai si sentono fuori dalla mischia, di incidere un lp fatto di canzoni natalizie: “Christmas in the Heart”, uscito nel 2009, con il ricavo messo a disposizione delle organizzazioni che si preoccupavano di distribuire cibo a chi non ne aveva nell’intero pianeta: non, si guardi bene, canzoni di Dylan sul Natale, ma brani “classici” da lui reinterpretati. Una vera chicca per chi immaginava un Dylan menefreghista e chiuso in se stesso. Senza dimenticare che una vera e propria parabola del Natale metropolitano e consumista era presente in una antica canzone del menestrello premio Nobel: in “Three angels” Dylan descrive gente che si aggira talmente di fretta per le strade cittadine da non riuscire a vedere tre angeli che suonano per la via. Profetico.
Senza dimenticare che Francesco De Gregori nel 1976 compie un’operazione opposta sia a quella del Dylan natalizio sia a quella di Lennon e Yoko, riagganciandosi a quella generazione dei fiori di cui abbiamo parlato prima: la sua “L’uccisione di Babbo Natale” parla di un “figlio del figlio dei fiori” e di una “figlia di minatori” che fanno fuori Babbo Natale e poi se ne tornano tranquillamente a casa dai genitori: allusione alla necessità dell’abbandono dei miti d’infanzia, che non è mai indolore, da parte dei ragazzini che crescono. E sul Natale il cantautore romano ne ha scritte di canzoni, quella omonima del 1977 e un “Natale di seconda mano” nel 2001. Ma se è per questo anche il suo antico compagno di avventura (nel 1972 incisero insieme l’album “Theorius Campus”) Antonello Venditti ha cantato il Natale, con la ripetizione ossessiva, come in un rito propiziatorio, di “Quando verrà Natale”, un Natale che cambierà tutto il mondo, e con “Regali di Natale”.
Il fatto che Natale sia cantato da Dylan, da De Gregori e da Lennon non deve far pensare a isolati paradossi, perché gli U2 hanno inciso un vecchio pezzo (composto nel 1963), “Christmas (baby please come home)” e i raffinatissimi Coldplay hanno nel loro repertorio un “Christmas lights” da 14 anni, senza dimenticarci di Sting, Bruce Springsteen, persino i Modena City Ramblers, e però pure i Queen: tutti hanno fatto conti cantati con il Natale che, nonostante i consumi, le guerre, l’indifferenza, il consueto “io non ci casco, Natale è diventato un modo per vendere e comprare” ci riporta ad un evento in cui amore, dedizione, accettazione del poco hanno iniziato un nuovo percorso, che un altro gruppo che non ci aspetteremo, i trasgressivi Franky goes to Hollywood, hanno chiamato Il Potere dell’Amore.