Quei furori che vengono da lontano. La distruzione di statue ha una lunga storia alle spalle
Iconoclastia è divenuto sinonimo del rifiuto delle forme di potere, qualsiasi esse siano, non solo quelle visibili.
La Damnatio Memoriae, la condanna a sparire totalmente dalla faccia della Storia, che conobbe una vera inflazione nel periodo imperiale, con abbattimento di statue e iscrizioni, cancellazione degli atti politici e perfino del nome, dunque è tornata.
Statue decapitate, abbattute, picconate: è lo spettacolo offerto dalla cronaca recente. Uno spettacolo a dire il vero piuttosto risalente e anteriore alla storia romana: nell’Egitto antico ci sono stati periodi in cui venivano distrutte le statue (e cancellata ogni memoria visiva) di faraoni precedenti, ed anche in epoca apostolica si svolsero aspri dibattiti sulla possibilità o meno di raffigurare la divinità. C’era ovviamente il tentativo di marcare la differenza rispetto al paganesimo politeista, ma anche la convinzione che Dio non potesse essere raffigurato perché fuori da qualsiasi somiglianza con le cose di questo mondo. Ma il punto di non ritorno si ebbe con l’affermarsi di quel fenomeno religioso e politico insieme che oggi noi chiamiamo iconoclastia, vale a dire distruzione delle immagini.
In Oriente soprattutto, le comunità cristiane erano in contatto con la civiltà islamica e con eresie che predicavano la distruzione degli idoli: erano i pauliciani e in generale le comunità dualistiche, che vedevano nella materia, e anche nell’immagine, il male. l’imperatore Leone III l’Isaurico, nel primo trentennio dell’Ottavo secolo, iniziò la distruzione delle immagini sacre presenti nei territori da lui direttamente controllati dell’impero bizantino. La cosa continuò anche con i successori e con alterne vicende che durarono poco più di un secolo, fino alla condanna dell’iconoclastia da parte di papa Gregorio IV. Ma la guerra all’immagine divina restò latente, fino a riesplodere con le varie riforme protestanti che portarono alla distruzione delle immagini sacre presenti nelle grandi cattedrali francesi e in altre zone dell’Europa. Ma iconoclastia è anche altro, ad esempio l’abbattimento dei segni delle dittature. Tiranni osannati come Stalin (e i loro un tempo riveritissimi, e temutissimi, esecutori) hanno conosciuto il momento della dimenticanza traumatica, con lo sbriciolamento delle statue dopo le denunce di Kruscev nel 1956.
Iconoclastia è divenuto sinonimo del rifiuto delle forme di potere, qualsiasi esse siano, non solo quelle visibili.
Ai giorni nostri il fenomeno si è di nuovo dispiegato con la decapitazione e in alcuni casi la distruzione di statue di Cristoforo Colombo, colpevole, secondo gli iconoclasti di turno, di essere uno dei responsabili del moderno razzismo. Un responsabile alquanto indiretto. Ma la Storia sembra si diverta a fare dispetti: in un momento in cui si abbattono i simboli di antiche tirannie, in alcune parti del mondo si propongono referendum per l’imbalsamazione (da vivi) di leader carismatici e si afferma sempre più una tendenza alla ri-creazione di miti per stabilizzare il potere, soprattutto in un contesto di crisi planetaria come quella attuale. Aveva ragione Vico, la Storia non si ripete, ma è meglio rimettersi a studiarsela bene. Per non tornare a fantasmi che sembravano appartenere al passato.