Quando abbiamo perso la coda. La riprogrammazione genomica dei nostri lontanissimi antenati
Quel cambiamento epocale, le cui tracce sono evidenti nel breve residuo nella parte finale della colonna vertebrale chiamata coccige.
Nella linea evolutiva animale, anche i nostri “lontanissimi” antenati avevano la coda. E la mantennero finché la loro vita si svolse prevalentemente sugli alberi, come strumento utilissimo per mantenere l’equilibrio corporeo, saltando da un ramo all’altro. Ma quando, circa 25 milioni di anni fa, quegli ominidi ancestrali (dal cui ramo filogenetico discendono esseri umani e scimmie antropomorfe) spostarono le loro attività sul suolo delle praterie, la coda cominciò a rappresentare più che altro un “impiccio” alla locomozione rapida (es. corsa sul terreno) e, progressivamente, si ridusse fino alla sua scomparsa. A detta dei primatologi e studiosi dell’evoluzione, dunque, si tratterebbe di una sorta di “riprogrammazione anatomica”, strettamente correlata a uno stile caratteristico di locomozione che ha contribuito al bipedismo umano.
Quello che finora, però, la scienza non è riuscita ad identificare è quale sia la precisa mutazione genetica che ha determinato questo cambiamento epocale, le cui tracce sono evidenti nel breve residuo nella parte finale della colonna vertebrale chiamata coccige. Ma ora, un recente studio (pubblicato sul sito di pre-stampa “bioRXiv”), condotto da Bo Xia e colleghi del NYU Langone Health di New York, evidenzia come dietro questo epocale cambiamento potrebbe esserci un piccolo pezzo di Dna che è “saltato” in un nuovo sito di un cromosoma, alterando così la produzione di una proteina chiave. Per giungere a questa conclusione, Xia e colleghi sono partiti dallo studio della formazione della coda in diverse specie animali, analizzando in particolare una trentina di geni che, nella fase embrionale, si attivano nelle cellule staminali. Tale attivazione porta alla formazione dei tessuti ossei e muscolari nella parte terminale della colonna vertebrale. Confrontando, quindi, cinque specie di scimmie antropomorfe senza coda (scimpanzé, bonobo, gorilla, orangutan, gibboni) e otto specie di scimmie con la coda (macaco, macaco cinomolgo, macaco nemestino, babbuino verde, mandrillo, rinopiteco bruno, aoto di Nancy Ma) i ricercatori hanno scoperto una mutazione genetica presente solo nel primo gruppo e negli esseri umani. Questa mutazione si trova su un gene chiamato TBXT, che è curiosamente uno dei primi geni scoperti più di un secolo fa. A provocare la mutazione è un singolo “trasposone”, ovvero uno di quegli elementi presenti nel nostro genoma (si pensa costituiscano fino al 10% dell’intero genoma) capaci di spostarsi da una posizione all’altra del genoma stesso, rendendo inattivi o cambiando il livello di attivazione dei geni in cui si inseriscono.
Per trovare ulteriore conferma alla loro scoperta, Xia e colleghi hanno pensato di produrre la stessa mutazione sul gene TBXT in topi di laboratorio. In questo modo, hanno potuto osservare che gli embrioni di topo ingegnerizzati crescevano con una coda molto corta e tozza o addirittura assente.
I risultati così ottenuti hanno anche fatto emergere un altro particolare importante: la mutazione in questione espone le specie che ne sono portatrici a un maggior tasso di difetti o malformazioni della colonna vertebrale durante lo sviluppo embrionale (patologie che, attualmente, negli esseri umani, colpisce circa un neonato su mille). A parere degli studiosi, sarebbe proprio questo il “caro prezzo” pagato durante l’evoluzione degli ominidi per acquisire il vantaggio adattativo della perdita della coda.